NAPOLI – “E’ incredibile che oggi in edilizia si muoia ancora come 50 o 100 anni fa, con un 46 per cento di infortuni dovuti alle cadute dall’alto. È segno che qualche cosa nel sistema non va e bisogna stare molto attenti, perché la crisi sta generando una minore sicurezza e un minore rispetto delle regole”.
A dirlo è Gianni Sannino, il segretario regionale della Fillea Campania, la parte del sindacato CGIL che si occupa di edilizia.
Il dato che riguarda il settore è preoccupante a livello nazionale ma, anche focalizzandosi solo sui dati della Campania, non mancano i motivi di preoccupazione.
Nel 2010 i morti sono stati 19 e lo scorso 4 gennaio il nuovo anno lavorativo si è aperto con un’altra vittima, un operaio di 30 anni investito da una gabbia metallica con la quale si lavorava in un cantiere di Ariano Irpino.
“E questi sono solo i morti che si contano – dice Sannino – quelli regolari, perché quando la vittime è un lavoratore irregolare, magari un immigrato, non è detto che scatti la denuncia. Per non parlare poi di quanti infortuni sul lavoro si trasformano in giornate di malattia: alle aziende conviene perché altrimenti perdono il bonus che deriva dal non aver avuto infortuni”.
Crede dunque che la crisi stia incidendo negativamente sulla sicurezza?
“Certamente, c’è un arretramento, una regressione nella sicurezza, si sta di nuovo facendo largo, tanto tra i lavoratori quanto tra le istituzioni, l’idea che il lavoro debba convivere con il rischio, questo non è tollerabile. Non si può nemmeno credere che il verificarsi degli incidenti abbia un effetto deterrente, che spinga ad un maggiore rispetto delle regole: al di là del momento emotivo che dura due o tre giorni tutto torna come prima. Non potrebbe essere altrimenti perché è il contesto che lancia questo messaggio, dalle dichiarazioni di ministri che definiscono al sicurezza un lusso fino agli spot che indicano i lavoratori come responsabili dei propri incidenti, per non parlare del criterio del massimo ribasso negli appalti che incentiva inevitabilmente a concepire la sicurezza come un costo. Quando le buone leggi, se pur perfettibili, del Testo Unico 81/08 sono state sistematicamente svuotate, distruggendo il sistema delle sanzioni e sostituendolo con gli incentivi alle ‘buone pratiche’ in un paese a diffusa illegalità e in momento di crisi, è stato fatto un grande errore. Credere che sarebbe servito a migliorare la sicurezza è stata un’utopia”.
Il problema degli appalti al massimo ribasso è molto sentito in edilizia ed è un argomento al vaglio anche delle istituzioni, lei cosa ne pensa e come crede poterebbe essere superato?
Sarebbe il caso di sostituirlo, come hanno appena deciso in Sicilia, con il meccanismo dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Non so esattamente quanto nell’immediato questo possa costare alla pubblica amministrazione ma certamente i vantaggi sarebbero considerevoli in un più lungo periodo. Quando si lavora con il massimo ribasso, facendo offerte che spesso sarebbero insostenibili per le imprese, vuol dire che facilmente dietro si nasconde lavoro nero, si fa spazio alla criminalità, si riducono al minimo le misure di sicurezza e questi sono tutti costi che ricadono sulla comunità”.
Ma i problemi vengono solo dal meccanismo degli appalti o c’è altro?
C’è anche dell’altro, principalmente un problema di risorse, che si acuisce in questo momento di crisi. Basti pensare che gli ispettori del lavoro sono pochi, malpagati e spesso demotivati. E poi le Asl che non hanno mai abbastanza budget da destinare alla sicurezza, con i commissari che non hanno in fondi per gli straordinari e talvolta non hanno nemmeno le auto per andare nei cantieri: tutto questo indebolisce il sistema dei controlli previsto dal Testo Unico 81/08 che peraltro è già stato sistematicamente indebolito. Per capire questo basti pensare che gli ispettori non possono più muoversi su segnalazioni dei rappresentanti per la sicurezza ma possono farlo solo in base ad interventi programmati.
C’è dunque anche un problema nei controlli?
Questo è evidente. Facciamo un esempio concreto, quello del coordinatore per la sicurezza nei cantieri, che è una figura chiave che dovrebbe concretamente garantire la trasposizione delle misure di sicurezza previste nelo piano all’interno del cantiere. Se il committente è una pubblica amministrazione il coordinatore sarà un ispettore pubblico ed è del tutto probabile che non segua un solo cantiere ma più, e forse troppi. Quando questo si verifica viene a mancare una figura fondamentale ed è allora che nel cantiere può accadere di tutto”.
Ci sono delle soluzioni possibili?
Ci sono tante cose che si possono fare, a partire dalla diffusione di una maggiore cultura delle sicurezza fino ai fondi per gli ispettori, ma in attesa di questo magari, nell’immediato, ci sarebbero altre cose fattibili. Penso ad esempio al coinvolgimento della polizia municipale nei controlli. In Lazio e in Lombardia è una cosa che già esiste, possono segnalare situazioni che appaiano di evidente pericolo e violazione delle misure di sicurezza, in Campania invece questo tipo di collaborazione non si è ancora attuata, non se ne parla proprio.
Anche il lavoro nero rimane un problema?
Si, e anche qui si potrebbe nell’immediato fare qualche cosa. Ad esempio non abbandonare l’idea dei cartellini di riconoscimento che ogni lavoratore dovrebbe indossare nel cantiere. E’ importante per aiutare i controlli e serve anche a far passare l’idea che un cantiere non è terra di nessuno, ove chiunque possa entrare e uscire, che ci sono delle aree interdette e delle regole precise da rispettare.