La “Sezione lavoro” della Corte di Cassazione, con sentenza n. 6375 del 21 marzo 2011, ha respinto il ricorso di un’azienda che aveva fatto pedinare e aveva poi licenziato un dipendente “reo” di essere uscito di casa durante un periodo di malattia. Contro il provvedimento il lavoratore era ricorso alla Corte d’Appello competente, la quale aveva dichiarato illegittimo il licenziamento favorendo sia la reintegrazione che il risarcimento dei danni subiti dall’interessato.
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei Giudici d’appello in quanto “sorretta da una motivazione adeguata e logica, oltre che immune da errori di diritto circa la mancanza di prova di una violazione disciplinare a fondamento del licenziamento intimato”.
Secondo la Cassazione, non doveva essere in alcun modo perseguito il comportamento del lavoratore che, seguendo le prescrizioni del medico curante (gli aveva prescritto di “compiere del movimento e, in particolare, di camminare”), era uscito di casa, a piedi e in auto per le normali incombenze della vita quotidiana. Alla base della decisione dei giudici c’è il principio per il quale riprendere la vita normale non ritarda la guarigione.
Inoltre dalle indagini investigative promosse dall’azienda, non era emerso che il dipendente avesse svolto altre attività lavorative: aveva semplicemente ripreso alcune attività della vita privata “non comparabili a quella di un’attività lavorativa”.