ROMA – Presentato lo scorso giovedì il “Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale relativo agli anni 2011-2012” della CIES Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale.
Nell’Unione Europea, oltre 80 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, di questi più della metà sono donne e 20 milioni bambini. Altre categorie a rischio sono i giovani, gli immigrati e i lavoratori poco qualificati, gli anziani e le famiglie con un reddito ridotto. Il fenomeno riguarda l’8% dei cittadini europei e tocca punte del 30% in alcuni Stati membri.
Per intervenire consapevolmente, è necessario non solo sapere quanti sono i poveri, ma anche quali categorie sono a rischio di povertà. L’Italia è uno dei pochi paesi europei che fin dal 1998 diffonde una misura “ufficiale” della povertà. Il Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale relativo agli anni 2011-2012 stilato dalla CIES si inserisce in questo quadro con l’obiettivo di:
- “restituire uno spaccato informativo sulla povertà e sull’esclusione sociale in Italia messo anche a confronto con quello di altri paesi europei;
- identificare i gruppi a rischio d’esclusione economica e sociale e le caratteristiche territoriali che ne moltiplicano il rischio;
- immaginare politiche di contrasto specifiche e coerenti, quantificate in termini economici e organizzativi e che tengano conto della possibilità di interventi pubblici e privati complementari;
- mettere a disposizione dei decisori pubblici, degli studiosi, dei mass media e del pubblico nel suo complesso, statistiche e documenti che analizzano la povertà e l’esclusione sociale.
Il Rapporto si sviluppa in un documento di 138 pagine di cui riportiamo in forma sintetica i principali contenuti e risultati ottenuti sulla base di rilevazioni statistiche Istat, Caritas e dalle elaborazioni autonome dalla CIES.
Come si misura la povertà? Quale la situazione in merito a povertà e esclusione sociale in Italia? Cosa si è fatto? Cosa è possibile fare?
La misura tradizionale della povertà è la cosiddetta povertà relativa, ossia l’indisponibilità di redditi o la disponibilità di redditi nettamente inferiori a quelli di cui dispongono la maggior parte delle persone. Nel 2011 sono 8.173 mila (Istat, 2012) i poveri in Italia, il 13,6% della popolazione. A fianco di questa misura è però possibile affiancare anche una misura assoluta di povertà, che individua chi non ha un reddito sufficiente ad acquisire un livello minimale di benessere. È minore il numero di poveri secondo questa misurazione: sono 3.415.mila i cittadini italiani che non hanno risosre sufficienti per raggiungere i minimi livelli di benessere, il 5,7% della popolazione.
Quali le cause? La crisi e le difficoltà economiche recenti hanno compresso i redditi e hanno cambiato gli stili di consumo della maggior parte delle famiglie italiane. La diminuzione delle disponibilità, dovuta alla riduzione delle attività economico-produttive, la non-uscita dalle famiglie d’origine di quote importanti di giovani , un tasso d’inflazione che determina un costante aumento dei prezzi, un prelievo fiscale elevato, la difficoltà di ottenere credito dalle banche, tutto ciò ha fatto lievitare il bisogno delle famiglie. Le famiglie hanno cambiato i loro consumi, ritoccando anche la spesa per alimentari, dopo aver limitato drasticamente quella per l’abbigliamento e per il rinnovo di articoli per la casa.
Quali le categorie più colpite? I giovani sono la categoria sociale che più è stata colpita dall’esclusione dal lavoro.
Tra il 2005 e il 2010, è peggiorata la condizione reddituale delle famiglie nelle quali convivono più generazioni, soprattutto se sono presenti minori, delle famiglie con persone in cerca di occupazione, soprattutto se la fonte di reddito principale è una pensione, e delle famiglie con a capo un lavoratore a basso profilo professionale.
In Italia, sono poi relativamente povere circa 286 mila famiglie composte da un solo genitore con figli coabitanti; e sono assolutamente povere 140 mila famiglie monogenitoriali. Di queste, la metà circa è composta da donne nubili, separate o divorziate con figli a carico e l’altra metà da un genitore anziano o prossimo alla pensione.
Tra le famiglie numerose, la povertà incide più che nelle altre: la povertà relativa riguarda il 29,9% delle famiglie di cinque o più componenti; quella assoluta il 10,7%. In molti casi, si tratta di famiglie di stranieri.
Un segmento di popolazione particolarmente vulnerabile al disagio è quello degli anziani che presentano limitazioni gravi e che, nello stesso tempo, vivono in famiglie a rischio di povertà o deprivazione materiale. Si tratta di circa 585 mila persone, il 4,8% degli anziani, l’1% della popolazione italiana.
Categoria a parte è quella dei senza dimora, persone in stato di assoluto bisogno sia materiale che sociale. Il numero dei senza tetto in Italia si situa tra i 15.000 e i 25.000.
Come si distribuisce la povertà a livello territoriale? Il Rapporto affronta la cosiddetta “questione meridionale” e rappresenta la considerevole distanza che esiste tra il Meridione e la parte centro-settentrionale del Paese. Basta un dato a dare la misura di questo divario : il reddito pro-capite delle popolazioni meridionali è il 59% di quello che si registra al Centro e al Nord. I poveri del Sud costituiscono il 68% del totale dei poveri in Italia. In termini assoluti, delle 6.400 mila persone considerate a rischio di povertà nel Mezzogiorno, quelle da considerare effettivamente povere anche rispetto agli standard locali ammontano a circa 3 milioni e 800 mila, mentre quelle in una situazione di povertà da sottosviluppo sono circa 2 milioni e 500 mila.
Altre aree che possono creare esclusione sono le aree urbane denominate “sensibili” e le aree isolate.
Per contrastare questa realtà lo Stato interviene attraverso assegni sociali e per integrazioni al minimo, che nel 2010 hanno superato i 17 miliardi di euro. Gli interventi diretti contro la povertà e l’esclusione sociale sono poi demandati alle amministrazioni che tramite i servizi sociali nel 2009, hanno destinato 6,978 miliardi di euro per interventi a sostegno delle famiglie e dei minori, dei disabili, degli anziani, di immigrati, nomadi e senza fissa dimora, e per il contrasto alle dipendenze.
Accanto e oltre a questa dimensione di intervento pubblico esiste il settore nonprofit e le imprese sociali che possono porsi l’obiettivo di ridurre la deprivazione materiale e psico-sociale sulla base di un modello organizzativo differente “L’esperienza di migliaia di enti e associazioni di varia natura, spesso unite in rete attraverso grandi centrali di secondo livello (Caritas, Banco alimentare, Conferenza San Vincenzo) rappresenta una straordinaria dotazione di capitale umano, sociale e relazionale che, in una nuova logica dello spazio pubblico, possono massimizzare i loro interventi. È, dunque, proponibile un’alleanza sussidiaria tra gli enti istituzionali e gli enti non profit, nel rispetto attivo delle specifiche competenze e modalità operative”.
Per approfondire: Rapporto CIES 2011-2012.