ROMA – Sabato mattina, presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma, si sono ritrovate tante realtà del mondo della sicurezza sul lavoro e del settore immigrazione, per costituire il comitato per la verità sulla morte di Mohammed Bannour, l’operaio tunisino morto il 22 dicembre scorso nel cantiere della suddetta facoltà. L’evento si intitolava: “Non siamo merce, non si può morire per lavorare”. Fra le tante associazioni ed esponenti che sono intervenuti c’erano il Comitato immigrati Italia di Roma, Enzo Diano della Rete Nazionale sulla sicurezza sul lavoro, Atenei in rivolta, Associazione giuristi democratici e lo stesso collettivo di Scienze Politiche. Quotidiano Sicurezza ha seguito l’evento.
La verità che emersa nel corso della mattinata è che – a sentire le parole del cognato di Mohammed – è che l’ incidente si poteva evitare. Serenetta Monti, ex RLS, attualmente RSU USI ZETEMA intervenuta all’incontro, ci tiene a precisare: “Non si è riuscito ad evitare per il solito discorso: il continuo volersi approfittare della manodopera dei lavoratori immigrati, facendoli lavorare di fretta, senza dargli indicazioni sulla sicurezza, insegnamenti di nessun tipo. In alcuni situazioni gli hanno fatto anche utilizzare macchinari per i quali non erano abilitati”. “Dopo questo decesso”, continua la Monti, “sicuramente diranno la solita assurdità, cioè che l’incidente è avvenuto perché Mohammed si era fatto carico di un lavoro che non gli competeva, troppo pesante per lui”.
Prima di tale comitato è stato inoltre presentato un esposto in Procura – congiuntamente all’Usicons, Associazione per la tutela dei diritti e degli interessi degli utenti dei servizi pubblici e privati e dei consumatori – per far luce sulla vicenda e chiedendo anche un incontro con il magistrato che si occuperà dell’inchiesta.
Ciò che a più voci Serenetta Monti ed il comitato chiedono è “la riapertura delle discussioni sulle normative riguardanti la sicurezza e la tutela dei lavoratori, in particolar modo sul Testo Unico 81/2008 che, secondo molti tra gli interveuti, faciliterebbe la vita ai datori di lavoro, a discapito degli operai”. Chiedono che “le istituzioni coinvolgano in questa discussione i comitati spontanei, come quelli dei parenti delle vittime e altre sigle sindacali che non siano quelle confederali (che troppe volte hanno lasciato aperta la porta ad agevolazioni nel mondo industriale e nelle imprese edili).
“Parlando proprio di imprese edili”, si sofferma la Monti, “dove abbiamo la più alta concentrazione di lavoratori immigrati, bisognerebbe secondo me capovolgere la mentalità del datore di lavoro, secondo la quale l’operaio deve stare zitto e subire perché ciò che è veramente importante è il profitto, il guadagno. Non importa come lo si raggiunga, anzi, si consente anche la delocalizzazione di quelle imprese come la Fiat che vuole portare il lavoro in Cina o nei paesi dell’Est dove si sa benissimo che i diritti dei lavoratori – e quelli civili dell’essere umano – passano in secondo piano”.