BOLOGNA – Dal 21 luglio 2011 è presente nella società e nel web l’ “Associazione nazionale familiari morti sul lavoro”. Un’organizzazione nuova, nata a sostegno pratico e attivo e a conforto dei familiari dei caduti sul lavoro. Impegnata nel supporto dei familiari, nella coesione e ovviamente nella lotta agli incidenti, alle cause, perché si faccia di tutto per evitarli e perché se ne parli senza remore e con la doverosa e civica insistenza.
L’Associazione è nata per iniziativa dell’ “Osservatorio indipendente di Bologna morti sul lavoro”, condotto e guidato da Carlo Soricelli, e dalla Sig.ra Graziella Marota, madre di Andrea Gagliardoni, ragazzo morto all’età di 23 anni, ucciso da una macchina tampografica. Due persone quotidianamente impegnate nell’osservare e denunciare gli incidenti sul lavoro nel nostro Paese, con l’intento accorato di proteggere il lavoro, denunciarne le lacune e le carenze capaci di renderlo letale.
“Chiedo ai familiari di tutte le vittime sul lavoro di unirci e collaborare per poter dare voce ai nostri cari e per far sì che tutto questo sangue non scorra più! L’unione fa la forza quindi cerchiamo di formare questa rete on- line per poter ottenere anche dei piccoli risultati…insieme ce la possiamo fare”. Questo l’incipit del primo post apparso sul blog dell’Associazione il 21 luglio 2011.
Un appello lanciato dalla Sig.ra Marota, che dalla propria straziante storia dilaniata da una perdita incolmabile e da successive difficoltà “burocratiche” trae la forza per chiamare e spingere ad avvicinarsi le famiglie dei caduti sul lavoro. Le famiglie che hanno scelto di ricordare in privato e non proseguire oltre, le famiglie che necessitano di aiuto morale pratico, le famiglie che si trovano impegnate in lungaggini assicurative e cause indurite già troppo dallo stesso motivo dei dibattimenti. Famiglie accumunate da un unico indicibile e tragico dramma.
Il blog dell’Osservatorio caduti sul lavoro ha pubblicato dei dati relativi alle morti sul lavoro in Italia riguardanti il periodo che va tra il 1 gennaio al 3 agosto 2011. “Dall’inizio dell’anno ci sono stati 380 morti per infortuni sui luoghi di lavoro, ma si arriva a contarne oltre 680 se si aggiungono i lavoratori deceduti sulle strade e in itinere. Erano 325 sui luoghi di lavoro il 3 agosto del 2010, l’aumento è del 14,5%”. Dati e numeri allarmanti in controtendenza rispetto alle stime riportate dall’INAIL nel suo report annuale 2010. Per una differenza che si innesta in particolare sul calcolo o meno del lavoro sommerso, dei lavoratori non regolari, “nascosti”, di cui non si ha denuncia né quindi notizia.
La discussione in Italia su queste ferite è aperta. Abbiamo ascoltato la voce di un’Associazione nata per creare una rete di intenti e assistenza tra le famiglie colpite da una “bianca” e salariale tragedia.
Sig.ra Marota a chi si rivolge l’Associazione nella quale ha deciso di impegnarsi. Che speranze ripone in essa.
L’Associazione nazionale familiari morti sul lavoro è nata con lo scopo di riunire, avvicinare le famiglie dei lavoratori caduti. Vuole essere uno strumento di coesione, un punto di ritrovo per chi si trova ormai dentro una lotta fatta di sofferenze, mancanze. Per riunirne gli intenti, i sentimenti e le difficoltà. È nata grazie a Carlo Soricelli, e al suo impegno quotidiano che ritengo impagabile. Con lui abbiamo buttato giù l’idea che in pochi giorni si è concretizzata sul web e che ricominceremo concretamente a sostenere dal prossimo e vicino mese di settembre.
Ho voluto aderire convinta che l’unione faccia veramente la forza, che unite insieme, persone che ricordo sono state colpite da una tragedia improvvisa, inaspettata, possano far sentire la propria voce, le proprie denunce per cercare giustizia per ciò che è accaduto e soluzioni perché ciò non accada più.
La morte sul lavoro è spesso ostracizzata, lasciata fuori dai media, dalla comunicazione. Riesce a venire a galla soltanto in casi eclatanti, come nel caso della Thyssen per esempio, in tragedie di gruppo che non possono non essere descritte. Si avverte la sensazione che pochi facciano qualcosa, pochi ne parlino, come se non stessimo affrontando discorsi che riguardino la vita di giovani, donne e uomini morti mentre stavano lavorando. Nel corso del mio dramma mi sono trovata spesso sola, su tutti i fronti, lottando contro i mulini a vento.
Spero che l’Associazione possa essere un rimedio a questa solitudine, che unisca che avvicini e crei condizioni utili al sollievo e al riconoscimento di diritti per i lavoratori che sono venuti a mancare e per i loro familiari. Diritti dei quali non sempre è scontato il riconoscimento.
Che sostegno darete ai familiari, come si articolerà il vostro impegno.
Dare un sostegno innanzitutto morale, personale, e poi nel districarsi nella burocrazia, nei riconoscimenti, nelle indennità assicurative. Un sostegno psicologico quindi e concreto. L’Associazione è nata da pochi giorni, ci stiamo strutturando, stiamo raccogliendo le adesioni di avvocati, psicologi. Colgo quindi l’occasione per invitare chi volesse entrare a far parte del gruppo di contattarci e mettere a disposizione la propria professionalità.
Per cercare di scongiurare per gli altri la sua esperienza.
Dal giorno in cui è morto mio figlio ho urlato, per il riconoscimento delle cause, delle responsabilità. Mi sono rivolta a tutte le istituzioni, ho girato e parlato. Ma se si è da soli si riesce a far poco. Si è una voce nel caos e nel nulla. Per questo l’Associazione può unire le voci, far leva sui media, sulla politica, ancora, sulle istituzioni. Unire gli intenti.
Sono centinaia le famiglie che stanno attualmente vivendo il dramma della perdita di un caro sul lavoro. Che lo stanno vivendo o che l’hanno vissuto. Parecchie di queste hanno riscontrato reticenze, difficoltà, semplicemente per il fatto di aver avanzato quanto di legale si può richiede per far corrispondere un’equa giustizia all’ultima tragedia che ha colpito il proprio familiare. Andando incontro a estenuanti iter che rinnovano il ricordo, la pena e a volte sembrano di uccidere ancora chi è già caduto. Uccidere, forse è un termine crudo, ma penso che la morte sul lavoro quando causata da noncuranza, dal mancato rispetto della vita di chi sta lavorando, sia da considerare un omicidio e come tale vada giudicata.
Per questo invito le famiglie a unirsi, anche quelle che hanno deciso per il massimo riserbo, che vivono in casa la propria sofferenza. Una sofferenza che ci accomuna e che può unirci.
Avremmo voluto evitare di farle per l’ennesima volta ripercorrere quanto accaduto a suo figlio.
Mio figlio Andrea è morto a 23 anni, nel 2006. Da quel momento ho cominciato un lungo e straziante percorso nei tribunali. Il processo, in preliminare e svolto con patteggiamento è stato archiviato condannando i responsabili a otto mesi con la sospensione della pena. Ora è in piedi una causa civile con l’assicurazione che ha sospeso il risarcimento.
Una lotta continua da condurre per farsi riconoscere il fatto che tuo figlio non ci sia più. Un paradosso quantomeno. Non posso non andare avanti, e non è un lucrare sulla mia disgrazia come detrattori potrebbero pensare. Lo faccio perché lo devo al mio ragazzo e a sua sorella e alla vita per la quale spero di ottenere ciò a cui penso di avere diritto. Motivazioni che animano le mie giornate e che mi hanno condotta a impegnarmi in quest’Associazione che spero riesca a riunire e a stringere persone che vivono identiche sofferenze e necessità.
Info e contatti: Associazione nazionale familiari morti sul lavoro