ROMA – Lo stress lavoro correlato è un problema reale. Ma quanti lo sanno valutare? Come si può distinguere lo stress lavorativo da quello generato da altre attività quotidiane? Quali sintomi segnalano il problema? E quali possono essere le soluzioni? Quotidiano Sicurezza ha interpellato uno psicologo del lavoro, Romina Galmacci, per fornire alcune risposte in merito. La prima questione da mettere in chiaro è che lo stress è una patologia diffussissima: la sintomatologia è comune, sia per lavoratori che per normali cittadini: «Nel caso dello stress lavoro correlato – spiega Galmacci – sono variabili relative alla struttura ed all’organizzazione dell’azienda dove lavora il paziente, quale lavoratore dipendente. Bisogna comunque individuare le vie di entrata (cause o stressors) e analnizzare le “ patologie” all’interno dell’organizzazione stessa, collegate alla progettazione, l’organizzazione e la gestione del lavoro e sui quali la legislazione imporra’, a partire dal 31 dicembre 2010, l’ obbligo di valutazione ed intervento per tutti i datori di lavoro».
Ma come si può accorgere il datore di lavoro che è in atto una stituazione di stress lavorativo all’interno della propria organizzazione? I segnali sono piuttosto visibili: insofferenza nel recarsi al lavoro, disinteresse verso la professione, aggressivita’ e nervosismo, conflittualità con i colleghi, isolamento oppure tendenza costante al pettegolezzo, lentezza ed errori nell’esecuzione dei compiti, tendenza ad assentarsi dal posto di lavoro. calo della concentrazione ed emersione di disturbi emotivi e psicologici. Attraverso dei questionari di soddisfazione lavorativa, focus group, o interviste semistrutturate si può “fotografare” lo stato di salute o di disagio/malessere del personale dipendente, e dunque valutare se esiste uno stato di stress lavorativo. Inoltre bisogna fare attenzione ai «disturbi dell’umore, irritabilita’, ansia, depressione, apatia, la convinzione di non sentirsi all’altezza, condotte di evitamento rispetto all’attivita’ lavorativa, tensione, ipertensione, dolori al petto, alterazione endocrine, disturbi del sonno ed altri disturbi psicosomatici», spiega la dottoressa Galmacci.
Altro strumento utile sono le cecklist. Prosegue la psicologa: «Le liste di controllo, chiamate anche cecklist, forniscono una guida degli indicatori oggettivi di rischio da prendere in esame, in coerenza con le indicazioni dell’Accordo quadro europeo 2004 e del documento dell’Agenzia Europea 2009. Sono molto sono utili in una prima fase di valutazione – quella finalizzata alla “pesatura” del rischio – ma non sufficienti: è necessario avvalersi di specifici consulenti». Esistono anche dei software per valutare lo stress lavoro correlato, tra cui il più usato è certamente quello messo a punto dall’ex Ispesl, ma la Galmacci mette in guardia: «Sono certamente strumenti utili, ma come per qualsiasi programma informatico è necessario che vengano usati con criterio e da personale competente. Quindi è fondamentale la rilevanza della formazione anche per gli psicologi del lavoro».
E le soluzioni per ridurre lo stress? In sostanza, bisogna ridurre il carico di tensione al cervello e al corpo. Quindi è utile «l’apprendimento di tecniche di rilassamento, come ad esempio il training autogeno di Schultz, considerando che lo stress comporta tensione fisica ed emotiva».