ROMA – “Il diritto alla sicurezza: prevenzione, protezione ed eliminazione del rischio di infezione per gli operatori sanitari”. Lo scorso 10 luglio si è tenuto in Senato un convegno riguardante i rischi sul lavoro degli operatori sanitari, convocato dall’Associazione parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione in collaborazione con il gruppo di ricerca multidisciplinare PHASE, acronimo di People for Healthcare Administration Safety and Efficiency.
Le infezioni da microrganismi trasmissibili con il sangue alle quali possono rischiare di andare incontro gli operatori sanitari, possono avere due principali e differenti origini, ferite percutanee ovvero da taglio o puntura, o contatto con le mucose del volto (occhi, bocca). La prima modalità risulta avere l’incidenza maggiore, 75%. Si tratta di un rischio concreto e serio, che riguarda la giornata lavorativa di ogni operatore e deriva quindi dal suo costante rapporto con il paziente.
Tre sono le patologie gravi potenzialmente associabili alla ferita, o esposizione accidentale, e trasferibili quindi per via ematica. Epatite C (HCV), Epatite B (HBV), HIV o Virus Immunodeficienza Umana. Dopo oltre venti anni di ricerca, dal 1986, uno studio chiamato SIROH, Studio Italiano sul Rischio Occupazionale coordinato dal Servizio di epidemiologica dell’Istituto nazionale per le Malattie infettive L. Spallanzani di Roma e finanziato dal ministero della Salute ha diffuso dati aggiornati in merito all’esposizione a tali rischi. Questi dati, confrontati e accompagnati con contributi INAIL-ISPESL, AIRESPA e del gruppo PHASE hanno fornito un report che ha sintetizzato:
“In Italia gli operatori sanitari dipendenti del SSN sono circa 450.000 (di cui 111.000 medici e 276.000 infermieri). Con il 41% di incidenza, l’esposizione al rischio biologico rappresenta l’infortunio occupazionale più frequentemente segnalato tra gli operatori sanitari (seguito dai “traumi” al 30%); delle esposizioni accidentali segnalate una su tre coinvolge materiale biologico derivante da un paziente affetto da una patologia infettiva trasmissibile per via ematica; in Italia si stimano circa 100.000 esposizioni percutanee/anno; il dato è corretto per il tasso di “mancata notifica” che, nel nostro Paese, è stimato essere del 50% (a significare che la metà delle esposizioni percutanee non viene segnalata).
Le 70.810 esposizioni percutanee (ovvero da taglio) , documentate dal SIROH tra il 1994 ed il 2011, presentano la seguente distribuzione in termini di stato sierologico del paziente fonte: da fonte negativa per HIV, HCV, HBV 47%; da fonte non testata 18% ; da fonte non identificabile: 15% ; da fonte positiva per almeno uno dei tre patogeni testati (HIV, HCV, HBV) 20%.
Nel 2010, il 10 maggio, il Consiglio dell’Unione Europea ha pubblicato una direttiva “in tema di prevenzione delle ferite da punta o da taglio in ambiente ospedaliero e sanitario”, riguardante i NPDs ( Needlestick Prevention Devices – NPDs ovvero dispositivi incorporanti un meccanismo di sicurezza), la valutazione dei rischi, la formazione, informazione, e che deve essere recepita in Italia entro l’11 maggio 2013. Porterà nell’impianto normativo nazionale quanto stabilito nel 2009 in un accordo quadro sottoscritto dall’HOSPEEM (European Hospital and Health Care Employers’ Association ) rappresentata in Italia da ARAN e dall’ EPSU (European Federation of Public Service Unions), rappresentata in Italia da FP-CGIL e FPS-CISL.
Il gruppo PHASE, ha pubblicato in questo mese e presentato nel convegno citato e in esame, lo studio “Prevenzione dell’esposizione occupazionale al rischio biologico derivante da lesione percutanea accidentale (puntura, ferita, taglio) nel settore ospedaliero e sanitario”. Compendio tecnico e raccomandazioni per il recepimento e l’attuazione in Italia della Direttiva 2010/32/UE del Consiglio dell’Unione Europea”. I dati e gli estratti riportati nell’articolo provengono da tale compendio.
Nella pubblicazione viene affrontato l’argomento da due prospettive: medico – scientifica e normativo – giuridica. Affrontiamo l’aspetto medico con il dott. Vincenzo Puro, gruppo PHASE, epidemiologo, responsabile UOC Servizio prevenzione e protezione e UOC Infezioni emergenti e Centro di riferimento AIDS presso l’IRCCS L. Spallanzani di Roma – coordinatore studio SIROH. E proseguiremo nei prossimi giorni con gli aspetti giuridici ascoltando il dott. Donato Ceglie, magistrato presso la procura della Repubblica di Napoli e esperto di sicurezza sul lavoro.
Dott. Puro, il 10 luglio lei ha tenuto un intervento in merito alla fenomenologia dell’esposizione occupazionale al rischio biologico negli operatori sanitari. Quali le dimensioni del rischio.
L’esposizione al rischio biologico nei dati di cui disponiamo, derivanti da uno studio effettuato dalla Associazione dei Responsabili dei servizi Prevenzione e Protezione (AIRESPSA), ha riguardato più del 40% degli infortuni professionali segnalati dagli operatori sanitari, con una percentuale che risente nella composizione di variabili differenti dal Nord al Sud d’Italia, da ospedale a ospedale. Da questi dati possiamo desumere che sono all’incirca 100.000 le esposizioni percutanee attese ogni anno, con un dato che si compone per il 50% delle ipotizzabili mancate notifiche, ovvero delle esposizioni non segnalate.
Un numero elevato.
Si, ma bisogna comunque considerare un fatto importante. Ovviamente non tutte le esposizioni attese, come le registrate del resto, sono stimate come infettive e fortunatamente le infezioni da patologie gravi come Epatite C, B, e HIV sono rare. Ma siamo comunque dinanzi a numeri importanti e sui quali occorre intervenire.
Che percentuali hanno fatto registrare fino al 2011 le patologie gravi, il maggior rischio per gli operatori sanitari.
In circa il 20% delle esposizioni la fonte è risultata positiva ad almeno uno dei 3 virus (circa 12.000 esposizioni), ma è altrettanto importante il dato che in altrettanti casi non sia stato possibile valutare la infettività della fonte. Il rischio maggiore proviene dall’Epatite C, in quanto si tratta di un patologia diffusa nella popolazione con percentuale maggiore rispetto all’Epatite B per la quale esistono programmi di vaccinazione nazionale. Per quanto riguarda l’esposizione all’HIV, più rara ma certamente percepita come maggiormente pericolosa, si deve considerare anche la possibilità di una profilassi tempestiva, che può ridurre il rischio di infezione.
Le infezioni osservate nel SIROH sono state riconducibili per lo più a infortuni con aghi usati per prelievi (42%) e con cateteri vascolari (42%).
Tra infermieri e medici, quale la categoria più esposta.
Gli infermieri sono i più esposti, con oltre i due terzi delle esposizioni accidentali che li riguardano. La loro maggiore esposizione deriva dall’essere in maggioranza responsabili dei prelievi ematici (venosi e capillari), dei posizionamenti di cateteri e delle somministrazioni endovenose, intramuscolari e sottocutanee di farmaci.
Si tratta quindi è evidente di un fenomeno assolutamente rilevante, che indice su categorie di lavoratori numerose. Quali i metodi maggiori per la prima e più significativa prevenzione.
Ribadendo la assoluta necessità della vaccinazione contro l’epatite B, l’uso di dispositivi individuali di protezione, la sensibilizzazione degli operatori, il controllo e la valutazione dei rischi possono avere un effetto riduttivo determinante. Insieme a queste misure tuttavia studi e dati provenienti dalla recente letteratura scientifica e dalla esperienza italiana del SIROH dimostrano che l’uso di dispositivi incorporanti un meccanismo di sicurezza, ovvero che vanno a inibire immediatamente la pericolosità di un ago per esempio terminata la procedura, possono ridurre i rischio dell’80%.
Ed è quanto chiediamo e portiamo avanti con il gruppo PHASE. Ovvero applicare in Italia, in stretta coerenza con la legislazione peraltro già vigente, quanto previsto dalla direttiva europea del 2010, andandone anche a completare alcune lacune in merito ad esempio alla definizione di dispositivi di protezione, a scegliere quindi definizioni e campi ancor più dettagliati e definitivi.
Prevenire e valutare i rischi.
Le componenti fondamentali di un buon programma di prevenzione e protezione sono la valutazione dei rischi nell’ambito specifico, la sensibilizzazione, informazione e formazione degli operatori sanitari sui rischi associati che accrescano in essi la percezione del rischio nel lavoro quotidiano, sull’importanza di attenersi alle procedure di sicurezza, sull’uso efficace degli strumenti di protezione, sulla necessità di segnalare ogni evento; l’addestramento; l’applicazione delle Precauzioni Standard e delle “pratiche di iniezione sicure” (safe injection practices) e la valutazione, adozione ed utilizzo di aghi e dispositivi incorporanti una protezione messi a disposizione dall’evoluzione tecnologica
In Italia gli operatori sanitari sono al’incirca 450.000, per due terzi infermieri, un terzo medici. Nel dato inerente le 100.000 esposizioni percutanee/anno attese il 63% potrà essere riconducibile ad ago, il 33% ad altri dispositivi come lancette e aghi di sutura, il 4% da altri dispositivi.
Dovremo quindi continuare nel nostro impegno, per ridurre e di molto queste percentuali e ridurre quindi conseguenze successive che vanno necessariamente a minare oltre alla salute del lavoratore, la sua famiglia, la struttura per la quale è stato impiegato, il sistema sanitario nazionale.