ROMA – Sonia Alfano, europarlamentare dell’Italia dei Valori, impegnata da anni su temi di grande rilevanza sociale, tra cui la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, soprattuto nella sua terra di origine – la Sicilia – teatro di infortuni e incidenti mortali nei cantieri, spesso sotto il controllo di società riconducibili agli interessi di clan mafiosi. Quotidiano Sicurezza l’ha raggiunta telefonicamente nel suo ufficio a Bruxelles, ponendo alcune domande sui temi della sicurezza. Ecco cosa ci ha risposto.
Nel 2009 in Italia, secondo i dati Inail, ci sono stati oltre 1.000 morti sul lavoro. In Germania un lavoratore del settore edilizia su 5.000 resta vittima di incidenti mortali sul posto di lavoro, con una incidenza quindi decisamente inferiore. “Serve più attenzione alla sicurezza”, invocano da più parti ma secondo Lei, come bisogna procedere? Cosa c’è da migliorare o eventualmente da introdurre nella legislazione vigente?
«Io approfondirei, ampliandolo, il quadro che di per se è già catastrofico se consideriamo che negli ultimi cinque anni, nel nostro paese, 7000 lavoratori sono morti sul proprio posto di lavoro. Questo significa che, di conseguenza, 7000 famiglie italiane sono state toccate dalla perdita di un congiunto e, cosa ancora più grave, spesso questa persona era l’unica risorsa economica per il nucleo familiare. Molti spesso parlano di casualità, di “incidenze”, io invece penso che ci sia una grave mancanza dal punto di vista legislativo quindi ci sono una serie di direttive che vanno modificate, di leggi che dovrebbero mirare all’approfondimento del problema, tant’evvero che io ho presentato un’interrogazione scritta alla Commissione che in seguito mi ha risposto. Credo che, appunto, ci debba essere una sorta di vigilanza costante e continua, di un monitoraggio ma che soprattutto si debba snocciolare il problema in tutte le sedi appropriate, istituzionali e non. Spesso non ci si rende conto che la gravità del problema, sta anche e soprattutto nel fatto che in molti casi c’è una grande quantità di lavoro sommerso ed è là che alla fine la maggior parte delle morti sui luoghi di lavoro, accadono. Bisogna quindi fare una grande opera di sensibilizzazione, una sensibilizzazione “stratosferica”, un costante controllo sui luoghi di lavoro. Io stessa ho visto di persona come spesso chi è deputato al controllo della sicurezza sul luogo di lavoro, alla fine chiude non uno ma tutti e due gli occhi perchè, se dovesse mettere nero su bianco la situazione, rischierebbe di perdere il proprio posto.»
Quindi le è già capitato di affrontare la tematica della sicurezza dei lavoratori presso Il Parlamento Europeo?
«Sì, ho presentato l’interrogazione nel 2010 e la risposta è stata data da László Andor (a nome della Commissione), il 17 giugno. Nella risposta, il membro della Commissione, segnala che il Decreto legge n°106/2009 è oggetto di un’analisi giuridica molto approfondita da parte dei Servizi della Commissione per quello che riguarda la conformità con il diritto europeo vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro.»
Molti incidenti mortali si verificano in Sicilia, dove la mafia controlla molti cantieri edili e intreccia le sue relazioni anche con le istituzioni pubbliche che dovrebbero vigilare sulle norme di sicurezza. Lei si è mai occupata del problema nella sua regione? Ha promosso qualche iniziativa in tal senso?
«No, non ho mirato il problema regione per regione, ma mi sono pronunciata più volte quando si sono verificati casi simili proprio perché, come ha sottolineato lei, spesso la mafia controlla tutta una serie di contesti, di situazioni. Sicuramente lei conoscerà una sorta di “costume” che è diventato un’abitudine dei subappalti e spesso, in quei contesti del subappalto del subappalto del subappalto, si verificano tutta una serie di inottemperanze, di “leggerezze”. Io ricordo, per esempio, una lunga escalation di incidenti sui luoghi di lavoro in Sicilia ma non solo dove la vittima spesso è stata fatta passare come il carnefice. Oltre alla Thyssen e ai casi più eclatanti, quello che più mi ha colpito è stato, per esempio, il caso dell’Umbria Olii dove sono morti degli operai ma che – addirittura – ai familiari di questi operai, gli è stato chiesto un risarcimento incredibile.»
Come giudica il fatto che il Comitato Europeo sui Diritti Sociali abbia bacchettato l’Italia, nella sua relazione di fine anno, su parecchie difformita riscontrate che vanno in contrasto con i parametri europei in tema di sicurezza sullavoro? Si parla di ben 10 non conformità rispetto alla Carta sociale europea.
«Io penso che davanti a questo tipo di richiami, non ci si debba assolutamente stupire. Poc’anzi, circa 10 minuti fa, sono intervenuta in plenaria con il Presidente della Commissione Barroso per segnalargli tutte le irregolarità rispetto ai CIP6. Il Presidente, con molta tranquillità, mi ha detto che in questo momento stanno valutando un numero altissimo di infrazioni (circa 53) in questo senso, all’interno dell’Unione Europea. Gran parte delle suddette infrazioni sono e sono state compiute da paesi inimmaginabili ma il nostro paese per 3 volte è stato richiamato su questi aspetti quindi io credo che non ci si debba stupire se l’Italia viene costantemente richiamata per 2 motivi, tra i tanti: il nostro paese tende a non adeguarsi mai e ad osservare né le direttive ma una volta che viene richiamato, non osserva neanche il benché minimo richiamo, se ne frega assolutamente! Il secondo motivo è rappresentato dal fatto che quando questi richiami arrivano – quando arrivano queste “bacchettate” – spesso consistono in un richiamo blando quindi purtroppo non paga nessuno, mi riferisco cioè al senso più chiaro e più nitido e anche all’etimologia del termine. Non paga nessuno. E allora perché l’Italia dovrebbe attenersi alla legge e non utilizzare le sue leggi o le sue “non-leggi” che gli consentono di vivere tranquillamente usando il mondo del lavoro sommerso, ricattando – come sta accadendo in questi giorni in casa Fiat, a Mirafiori? Per quale motivo bisognerebbe attenersi ai richiami se poi si può tranquillamente bypassare non solo la legge ma appunto infischiandosene dei richiami.»
Per concludere: secondo lei l’attuale governo si è impegnato per garantire la sicurezza dei lavoratori nei migliaia di cantieri aperti in Italia?
«No, assolutamente. Questo governo ha cercato di affossare sempre più la dignità dei lavoratori a 360 gradi e soprattutto non mi pare che abbia fatto assolutamente nulla per garantirne la sicurezza sui luoghi di lavoro, anzi. Ogni qual volta c’è stata la possibilità di mettere nero su bianco, con fermezza e determinazione soprattutto su quello che riguardava la sicurezza sui luoghi di lavoro, c’è stata una grande omissione e su quest’omissione credo che si debba riflettere a lungo. Cerchiamo di sollevare il problema a 360 gradi. I dati dell’Inail che sono quelli che ha citato lei poco fa e che ho avuto modo di citare in questi anni, tengono conto soltanto degli infortuni che vengono denunciati e quindi sono solo quelli che vanno presi come punto di riferimento ma non come punti definitivi. Non tengono conto però di tutti i lavoratori defunti che lavoravano in nero o che non denunciano gli infortuni per paura di perdere il proprio posto di lavoro o per paura di ritorsioni da parte del loro datore di lavoro perché magari sono lavoratori precari, perchè sono ricattabili quindi cerchiamo di capire che anche questi dati che noi abbiamo adesso snocciolato, sono dei dati sottostimati. Ecco perché è un problema che andrebbe affrontato quotidianamente e non mi pare che questo governo lo abbia fatto. Non è per fare una polemica politica. Io credo che davanti alla sicurezza degli italiani, non ci si debba dividere su sicurezza di chi appartiene a quel partito, piuttosto che a quell’altro partito. Il punto è che, secondo me, molti esponenti di questo governo vivono in un perenne conflitto d’interessi. Se noi facessimo un po’ di attività giornalistica d’inchiesta, scopriremmo che – per esempio – alcuni ministri, sopratutto quei ministri che ricoprono ruoli strategici, possiedono numerose aziende e stabilimenti.»