ROMA – Due sentenze emesse dalla Corte di Cassazione a distanza di pochi giorni affermano, relativamente agli incidenti in itinere, due principi differenti e contrastanti: un fatto che ha destato un po’ di confusione nel mondo legale. La prima sentenza ha infatti negato il diritto al risarcimento per i danni derivati da un incidente che era occorso nel tragitto da casa al lavoro perché, secondo la Corte, l’uomo era ‘fuori rotta’ rispetto al tragitto che avrebbe dovuto fare, mentre nella seconda sentenza è stata riconosciuta la copertura assicurativa all’infortunato anche se il percorso non era quello più breve per il tragitto necessario da casa a lavoro.
La prima sentenza, quella che ha negato il risarcimento al lavoratore, è del 21 settembre scorso ed ha riguardato un medico rimasto ferito in un indicente d’auto che egli sosteneva fosse avvenuto nel tragitto di andata da casa al luogo di lavoro. Secondo la Corte che ha rigettato la richiesta di indennizzo infatti l’uomo non avrebbe compito quello che, topograficamente parlando, sarebbe stato il tragitto più breve per giungere al lavoro e che il percorso scelto, più lungo, non sembrava essere dettato da motivi validi come ad esempio una migliore viabilità o minori attraversamenti della zona urbana. Pertanto per la Corte il percorso compiuto non poteva essere considerato quello di ‘itinire casa lavoro’ venendo così a mancare il presupposto per l’indennizzo dei danni subiti.
Diversa la decisione presa da un diverso Collegio della Cassazione appena 3 giorni dopo, il 24 settembre relativamente questo volta ad un indicente mortale anche questo avvenuto mentre il lavoratore si recava sul posto di lavoro. Questa sentenza ha infatti riconosciuto l’incidente come avvenuto in itinere nonostante, secondo i criteri utilizzati in precedenza, non potesse essere considerato il tragitto più breve ma, in questo caso, il più comodo e conveniente, una valutazione che si basa su criteri differenti che tengono in considerazione la soggettiva scelta del lavoratore. Per l’occasione la Corte ha anche ribadito che il ‘motivo di lavoro’ possa essere escluso solo se si può dimostrare che il tragitto sia frutto di una scelta per nulla dipendente con il lavoro e che il viaggio sia stato intrapreso per motivazioni del tutto personali tanto da interrompere il nesso con l’attività lavorativa. Sembra dunque in base a questa ultima sentenza che se effettivamente il lavoratore sta andando da casa al lavoro o viceversa la specifica strada scelta non vada ad incidere nella copertura assicurativa, anche se è probabile che di fronte ad ogni caso si dovrà valutare in maniera circostanziata e che dunque il rischio di nuove sentenze ‘discordanti’ non possa essere escluso per il futuro.
Infortuni in itinere, sentenze contrastanti da parte della Cassazione
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