ROMA – La Corte di Cassazione con la sentenza nr. 21621 della Sezione Lavoro ha stabiklito che la sindrome depressiva ansiosa costituisce uno stato patologico tanto grave e particolare da giustificare il fatto che il lavoratore malato non si trovi a casa nelle ore di reperibilità. In virtù di questo il datore di lavoro non può utilizzare questa motivazione per il licenziamento.
La sentenza pone fine al caso sollevato da una ditta di Taranto che aveva licenziato la sua dipendente in malattia per sindrome ansioso-depressiva perché non trovata a casa per il primo controllo del medico fiscale. La signora inoltre era stata vista trascorrere alcune ore in spiaggia, a pochi metri da casa sua.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato il reintegro della dipendente con queste ragioni:
- per quanto riguarda l’ assenza da casa in orario di reperibilità la Corte accoglie le ragioni della signora che si era giustificata dichiarando di dover essere andata dal medico per un disturbo urgente sopravvenuto;
- inoltre, secondo la Corte di Cassazione, “la società ricorrente ha trascurato la gravità dello stato patologico a carico della signora” ribadendo che , come altre volte già deliberato “in casi simili, per giustificare l’obbligo di reperibilità in determinati orari, non è richiesta l’assoluta indifferibilità della prestazione sanitaria da effettuare, ma è sufficiente un serio e fondato motivo che giustifichi l’allontanamento dal proprio domicilio”.
La Corte altresì conferma che ci sia sproporzione tra addebiti e sanzione espulsiva adottata, anche per quanto riguarda la passeggiata al mare che non può essere ritenuta motivo valido per il licenziamento dato inoltre che una breve esposizione al sole da parte della lavoratrice non poteva pregiudicare o ritardare la guarigione della paziente, semmai il contrario.
In un mondo del lavoro in cui i rischi psico-sociali cui i lavoratori sono esposti determinano un aumento esponenziale di malattie legate a sindrome da stress e ansioso-depressive è sempre più importante che i datori di lavoro siano adeguatamente informati su questo tipo di patologie e sui rischi lavorativi che le determinano per poter effettuare valutazione dei rischi adeguate e mettere in atto efficaci azioni preventive.
Corte di cassazione, sentenza nr. 21621 della Sezione Lavoro (formato PDF)