ROMA – Il Consiglio di Stato, organo di giurisdizione amministrativa preposto alla tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei privati nei confronti della Pubblica Amministrazione, con la sentenza n.8104/2010 ha rigettato il ricorso intentato da un medico contro un’Azienda Sanitaria Locale per essere risarcito a seguito di infortunio sul luogo di lavoro.
Il medico, ricercatore di ruolo in servizio assistenziale presso l’AUSL di Chieti, in struttura convenzionata, chiedeva il risarcimento del danno subito a seguito di contagio da virus HCV, epatite virale di tipo C, contratto perché il medico si era trovato costretto ad estrarre manualmente dal dispositivo per il prelievo del sangue con cui stava operando un ago appena utilizzato su un paziente affetto da virus HCV.
Il ricorso era già stato presentato al Tar di Pescara che aveva rilevato la necessità da parte del ricorrente di fornire la prova sia dell’esistenza ed entità del danno, sia, preliminarmente, della colpa e del nesso causale tra il comportamento dell’Amministrazione Sanitaria Locale, che in questa vicenda ricopre il ruolo di datore di lavoro, e il danno causato.
Mentre era apparso pienamente provato il nesso causale tra puntura accidentale di un ago infetto e la contrazione della malattia, rimaneva da provare il nesso causale tra presunto difetto dell’apparecchiatura e la susseguente puntura.
Il Consiglio di Stato riprendendo in parte le decisioni del Tar di Pescara, concorda che la mancata estrazione dell’ago poteva essere dovuta a causa non identificata, non necessariamente riconducibile a guasto o difetto. La mancata estrazione poteva anche essere imputata a un errore umano o a una incompleta attivazione della procedura materialmente prevista, cause queste che non sono immediatamente imputabili all’Amministrazione in termini di negligenza presunta nella prevenzione dei rischi dell’ambiente di lavoro.
Il Consiglio di Stato stabilisce inoltre che nel caso in esame occorreva che la necessità di intervenire manualmente fosse parte delle procedure conformi ad un protocollo essenziale delle mansioni del dipendente, cosa questa non dimostrata. In pratica il fatto del mancato “sfilamento” automatico dell’ago non imponeva al medico di procedere necessariamente con l’estrazione manuale dello stesso.
Non risulta nemmeno che l’operazione manuale si rendesse necessaria a causa della permanenza dell’ago stesso nei vasi di un paziente, cosa che avrebbe potuto giustificare l’intervento di un medico a salvaguardia della sua salute.
L’operazione di estrazione manuale si configura pertanto come operazione abnorme che non rientra nelle mansioni del medico che ha pertanto causato un evento non riconducibile all’area di rischio specificamente connessa a quell’attività. Il lavoratore si è quindi esposto a un rischio “abnorme” che appare unica causa determinante dell’infortunio.
Il datore di lavoro risulta quindi esonerato dalla responsabilità dell’infortunio in quanto il medico ha operato di sua volontà agendo al di fuori del procedimento lavorativo e delle direttive di organizzazione ricevute.