ROMA – La Corte di Cassazione con la sentenza n. 31679 della Quarta Sezione Penale ha stabilito che per garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro, oltre alle informazioni servono i controlli, “sino alla pedanteria”.
Il datore di lavoro, secondo la sentenza, non deve “limitarsi a informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nell’ordinaria prassi di lavoro”. Lo stesso, continua la sentenza, deve avere “la cultura e la ‘forma mentis’ del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dall’integrità del lavoratore”, “non è sufficiente che i datori impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza”. E se alcune misure sono particolari “è necessario che questi strumenti siano messi a portata di mano” dei dipendenti.
“il datore di lavoro – scrivono i giudici della quarta sezione penale – è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme”.
Per la Cassazione è “imprudente” il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest’ultimo autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e quindi al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – oppure, “rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro”. In ogni caso, conclude la Cassazione – fissando un principio che trova rispondenza nel testo unico sulla sicurezza del lavoro – se è vero che destinatari delle norme di prevenzione contro gli infortuni non sono solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, «giova ricordare, tuttavia, che l’inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell’operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza”.
Con questa motivazione, i Giudici della Suprema Corte hanno quindi respinto il ricorso del proprietario di un cantiere edile e della persona che nello stesso cantiere rivestiva il ruolo di “preposto”, ritenuti responsabili per negligenza e imperizia dal tribunale e dalla Corte d’appello di Trento per l’incidente occorso a un operaio caduto da un ponteggio senza aver indossato un’idonea cintura di sicurezza e riportando perciò lesioni gravissime. La difesa degli imputati si era imperniata sull’eventuale responsabilità degli operai, colpevoli di aver ignorato le norme poste a presidio della loro stessa sicurezza, dato che avrebbero provocato l’incidente smontando, su indicazioni del “preposto”, le protezioni esistenti per montare il parapetto di un balcone. Il tutto mentre la vittima dell’incidente si trovava ancora sul ponteggio. L’impresario aveva, quindi, cercato di addossare la colpa al gruppo di operai che avevano iniziato a smontare le protezioni mentre la vittima era ancora sul ponteggio.
Questa sentenza vuole essere un forte monito per contrastare i tentativi dei datori di lavoro di addossare la colpa di eventuali incidenti al mancato rispetto delle norme da parte degli operai.