RAVENNA – Dopo la giornata di mobilitazione che si è svolta lo scorso 7 dicembre la Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro di Ravenna ha diffuso un comunicato per ribadire il significato e il risultato della giornata.
La Rete di Ravenna, continuando a creare momenti di confronto discussione, intende farsi portavoce della battaglia per migliori condizioni di lavoro dei lavoratori immigrati, esposti al rischio di infortuni sul lavoro.
A partire dai casi più gravi avvenuti nel ravennate dove recentemente due operai, Diop Gougnao e Doka Besnik, sono morti in incidenti sul posto di lavoro, la Rete si propone come strumento a disposizione dei lavoratori immigrati affinché riescano a far sentire la loro voce per dire basta alle nuove forme di schiavismo.
Esemplare la storia di Diop che nonostante avesse un generico contratto di multi servizi ricopriva la mansione più faticosa e rischiosa di facchino. Una legislazione carente e spesso disattesa permette che i lavoratori immigrati siano oggi i più ricattabili e quelli più costretti ad accettare condizioni di lavoro altamente rischiose.
La giornata trascorsa, che seppur non abbia visto la mobilitazione di grandi numeri ha visto la partecipazione attiva di figure importanti della realtà lavorativa degli immigrati, unite con collettivi di studenti e autorità del mondo del lavoro, è un primo passo nella lotta per maggiori diritti, maggiore sicurezza e maggiore tutela per tutti i lavoratori.
Di seguito il comunicato.
«Un primo passo oggi è stato fatto nel lungo cammino della battaglia per i diritti dei lavoratori immigrati, in particolare per la difesa della loro vita nei luoghi di lavoro.
A Ravenna vogliamo giustizia per Diop Gougnao morto al Porto e per Doka Besnik schiacciato da una benna in un cantiere. Partiamo da questa rivendicazione perchè è troppo alto il tributo di sangue all’altare del profitto dei lavoratori immigrati.
Anche a Paderno Dugnano, dove ci sono state 2 vittime nel rogo, la maggioranza era composta da immigrati e uno di loro, un operaio albanese, ha perso la vita. “Lavorava come un cane”, hanno denunciato i suoi colleghi: ecco, è proprio per questo che intendiamo come moderno schiavismo! Diop faceva il lavoro da facchino ma il suo contratto era quello da “multi servizi”, per lui non valeva l’accordo per la sicurezza siglato al porto e prendeva assai meno dei suoi colleghi. Lavoratori si serie B, schiavi moderni.
Contro questa condizione incivile si è tenuto un presidio itinerante promosso dalla Rete per la sicurezza sul lavoro di Ravenna al Centro informazioni immigrati e al centro per l’impiego che aveva come scopo quello di lanciare il messaggio ai lavoratori immigrati che ribellarsi è giusto e necessario, rivolgendosi a loro direttamente perchè la lotta per contrastare il moderno schiavismo nei luoghi di lavoro può avere successo solo con la loro partecipazione attiva e, allo stesso tempo, vogliamo unire tutti coloro che si battono per i diritti degli “invisibili”, resi tali da una legislazione e da un governo apertamente razzista, in continuità anche con le proteste di Brescia a Milano che hanno ancora una volta reso evidente, come Rosarno, che sono il supersfruttamento, il legame permesso di soggiorno/contratto di lavoro, le cause principali che espongono maggiormente a rischio della vita i lavoratori immigrati. I presidi sono parte di una campagna nazionale promossa dalla Rete per la sicurezza sul lavoro contro le morti sul lavoro nella settimana dal 4 al 10 dicembre. La partecipazione, se pure con piccoli numeri, è stata comunque un segnale chiaro che si deve lottare uniti. Ai presidi ha partecipato Babecar, presidente della consulta immigrati e Charles Tchameni Tchienga dell’associazione “Terzo mondo”, gli studenti del collettivo autonomo e l’ Assessore provinciale alla Formazione Professionale, Paolo Valenti. Ora il lavoro deve continuare per costruire una campagna cittadina e nazionale, per lo sciopero generale e per una manifestazione nazionale a Roma. Il messaggio partito da Ravenna è il nostro contributo alla lotta più generale.»