È di questi giorni la dichiarazione del Ministro della Giustizia che “al 30 giugno scorso si contavano oltre 5 milioni di fascicoli civili in attesa di sentenza e quasi tre milioni e mezzo penali”.
Ne prendo spunto, e con riferimento ai numerosi processi in atto che riguardano la sicurezza sul lavoro, per commentare la sentenza n. 1070 del 20 gennaio 2014 con la quale la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un cittadino che chiedeva di essere risarcito del danno morale derivatogli dalla eccessiva lunghezza di un processo che lo aveva interessato.
La Cassazione, allo scopo ha richiamato l’art. 2 della L. 89/2001* per cui “ogni persona ha diritto a un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.
E per di più, l’indennizzo del danno morale, tenendo conto che il superamento del “termine ragionevole” genera di per sé una sofferenza, “non necessita di specifica dimostrazione”, essendo “semmai l’Amministrazione resistente a dover fornire elementi idonei a farne escludere la sussistenza in concreto”.
Sotto l’aspetto dei contenuti dell’indennizzo del danno, “il giudice determina la riparazione a norma dell’articolo 2056 del codice civile, osservando le disposizioni seguenti:
a) rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole …;
b) il danno non patrimoniale è riparato, oltre che con il pagamento di una somma di denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell’avvenuta violazione”.
* Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo (“Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali… sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione -firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dall’Italia con la L.848/1955 – ha diritto ad una equa riparazione”.