“In materia di risarcimento danni, in caso di lesione di un diritto fondamentale della persona, la regola, secondo la quale il risarcimento deve ristorare interamente il danno subito, impone di tenere conto dell’insieme dei pregiudizi sofferti, ivi compresi quelli esistenziali (*), purché sia provata nel giudizio l’autonomia e la distinzione degli stessi, dovendo il giudice, a tal fine, provvedere all’integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell’ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione e, dunque, delle particolarità del caso concreto e della reale entità del danno”.
Così la Corte di Cassazione è intervenuta, con sentenza 17092 dell’8 ottobre a respingere un controricorso per un caso nel quale, nella valutazione per il risarcimento di una morte per amianto, si era quantificato il danno adottando un parametro rapportato esclusivamente alla durata della malattia.
In questo modo, si è opposto da parte della Cassazione, in linea con la costante giurisprudenza, “non si è sufficientemente personalizzato il danno”, perché non si è fatta qualsiasi altra considerazione e non si è valutata ogni ulteriore circostanza rilevante ai fini dell’intensità della sofferenza provata dal soggetto danneggiato.
Il fatto aveva interessato un lavoratore portuale, impiegato nello scalo di Venezia per 25 anni, deceduto per mesotelioma pleurico, contratto per inalazione ed esposizione a fibre di amianto.
(*) Danno esistenziale o morale è inteso, in generale, come la sofferenza subita dal soggetto a seguito, ad esempio, delle lesioni fisiche riportate e viene riconosciuto per espressa previsione dell’art. 2059 c.c.
Il danno biologico “consiste nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica, della lesione psicofisica. In particolare, la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l’applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette “tabelle” (elaborate da alcuni uffici giudiziari), ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultano recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del giudice.” (Sentenza 12/05/2006, n. 11039).
Info: Cassazione Civile, 08 ottobre 2012, n. 17092.