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Quando è veramente mobbing?

Non esiste un’esatta definizione normativa della fattispecie chiamata comunemente “mobbing”(*),  ma per il concretizzarsi del reato di mobbing occorre che gli episodi lamentati dal dipendente siano tali da poter accertare:

  • ” L’idoneità offensiva della condotta posta in essere dal datore di lavoro”;
  • ” la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della condotta”.

Con la sentenza  del Consiglio di  Stato n. 3648/2011 i giudici della sezione VI hanno ripreso il tema di questo reato, consumato sempre più frequentemente (la prima sentenza sul mobbing in Italia è stata emessa dal Tribunale di Torino il 16 novembre 1999), e hanno evidenziato che, nel valutare i casi di presunto mobbing, vanno considerate rilevanti “la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio”.

Anche la precedente giurisprudenza ha affermato che per la configurazione di questo tipo di reato deve aversi un “evento lesivo della salute psicofisica del dipendente” ma anche un “nesso eziologico tra la condotta del datore/superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore” ed ancora che venga “provato l’elemento soggettivo, cioè  l’intento persecutorio”.

La decisione n. 3468/2011 ha confermato  che il comportamento delittuoso del datore di lavoro/superiore gerarchico:

  • Deve manifestarsi in “modo continuativo e protratto nel tempo”;
  • deve essere tenuto “nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro”,
  • deve manifestare con atteggiamenti “intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica”.

(*) Così la Cassazione, sentenza 685 della Sesta sezione penale, depositata il 13 gennaio 2011:  “Nonostante una delibera del Consiglio d’Europa del 2000, che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non vi è traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria definita mobbing”.  E il vuoto normativo ferma ogni possibile procedimento. Ma si può procedere civilmente, in quanto  il mobbing  ” dà titolo per il risarcimento del danno eventualmente patito dal lavoratore in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori del datore di lavoro o del preposto”.

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