Per la Corte di giustizia europea l’Italia non garantisce i disabili nel mondo del lavoro e impone, con la sentenza C312/11 dei primi di luglio, di adeguarsi quanto prima alle direttive comunitarie in materia.
In seguito alla procedura d’infrazione per incompleto o inadeguato recepimento della Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000*, l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia europea perché sono risultate insufficienti le garanzie e le agevolazioni previste nel proprio ordinamento a favore dei disabili in materia di occupazione.
Infatti per l’Ue:
- le norme nazionali in materia non hanno natura di carattere generale (non riguardano, cioè, tutti i disabili, tutti i datori di lavoro e tutti i vari aspetti del rapporto di lavoro);
- l’attuazione delle norme nazionali è stata affidata o a) all’adozione di misure ulteriori da parte delle autorità locali o b) alla conclusione di apposite convenzioni tra le autorità locali e i datori di lavoro, il che non consente ai disabili di agire direttamente in giudizio.
La Corte di giustizia UE, con la sentenza pubblicata il 4 luglio 2013, ha stabilito che gli Stati membri devono imporre direttamente ai datori di lavoro l’obbligo di adottare concrete ed efficaci misure** in favore dei disabili con riferimento:
- al diritto di accesso al posto di lavoro e alle mansioni;
- al diritto di progressione nella carriera;
- al diritto alla formazione.
* La direttiva mira a stabilire un quadro generale a) per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali; b) per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.
** Ad es., adeguamento dei locali, adattamento delle attrezzature, organizzazione dei ritmi di lavoro e ripartizione delle mansioni.