La Corte di Cassazione , con la sentenza n. 20385 del 5 ottobre 2011, ha ribadito un principio di diritto in materia di licenziamento del lavoratore per giusta causa. In virtù di tale principio l’onere della prova spetta al datore di lavoro, il quale deve:
- Provare che il lavoratore si sia reso protagonista di un comportamento che costituisce “una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto ed, in particolare, di quello fiduciario”;
- provare questo comportamento con riferimento: 1) “agli aspetti concreti del fatto” e quindi non al fatto “astrattamente considerato “; 2) “al grado di affidamento” richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, tenuto conto, quindi, dell’organizzazione aziendale; 3) “alla portata soggettiva” del comportamento che ha originato la contestazione e il licenziamento e cioè valutando sia le circostanze che i motivi ma anche e soprattutto l'”intensità dell’elemento volitivo” presenti nel fatto.
A proposito dell’onere della prova, conviene ricordare l’ art. 2697, 1° comma, c.c. (“chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”) e l’art. 2697, 2° comma, c.c. (“chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”).
Così, all’attore (nel caso esaminato, il datore di lavoro) spetta di dimostrare la non veridicità di questi fatti, oppure la loro non idoneità a costituire valido fondamento del’azione (del datore di lavoro). Il convenuto (il dipendente licenziato) può anche provare l’esistenza di altri fatti capaci di modificare o estinguere il diritto dell’attore.
Nella sentenza del 5 ottobre si legge anche che la valutazione della gravità dell’infrazione tale da provocare il licenziamento per giusta causa, è riservata al giudice di merito e il giudizio, se “congruamente motivato” è incensurabile in sede di legittimità.