Secondo l’art. 4, secondo comma, dello Statuto dei lavoratori, gli impianti di controllo in ambito lavorativo possono essere installati soltanto “previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna”.
E se l’accordo viene stabilito con gli stessi lavoratori mediante l’espressione del consenso dato al datore di lavoro che intende utilizzare gli impianti? La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22611 dell’11 giugno 2012, ha accolto il ricorso di un datore di lavoro già condannato per aver fatto installare un sistema di videosorveglianza oltretutto con due telecamere direttamente orientate sulle postazioni di lavoro.
La Suprema Corte, ha ritenuto, infatti che, nella lettura dell’art. 4 dello Statuto “non può essere ignorato il dato obiettivo che, nel caso in questione, era stato acquisito l’assenso di tutti i dipendenti attraverso la sottoscrizione da pare loro di un documento esplicito”.
E ha aggiunto che”logica vuole che… non può essere negata validità ad un consenso chiaro ed espresso proveniente dalla totalità dei lavoratori e non soltanto da una loro rappresentanza “ (sia essa RSU o Commissione interna, ndr).
Nella sentenza dell’ 11 giugno si legge anche che il consenso previsto dall’art. 4 in materia di controlli, “deve essere considerato validamente prestato quando promani proprio da tutti i dipendenti”, e viene spiegato che la condanna erogata al datore di lavoro ricorrente “è censurabile per non avere interpretato correttamente la norma sotto il profilo oggettivo…” ma anche “sotto il profilo psichico” tenuto conto della “piena consapevolezza dei lavoratori “ dimostrata con la sottoscrizione del documento favorevole all’installazione degli impianti di controllo, peraltro segnalata da appositi cartelli.
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