La sordità da rumore è la più diffusa fra le malattie professionali che colpiscono i maschi. Le statistiche relative all’anno 2009, tratte dal progetto Malprof dell’INAIL, collocano questa malattia al primo posto, prima delle malattie del rachide e delle altre malattie muscoloscheletriche e prima ancora dei tumori maligni pleura e peritoneo.
Nell’anno osservato si sono registrate 1862 frequenze (riferite agli uomini), con una percentuale del 47,5% rispetto al numero complessivo di malattie professionali (3923).
Negli ultimi dieci anni le frequenze della sordità per i maschi sono state 26213, pari al 65.52% delle malattie professionali.
I settori nei quali sono più presenti i casi di sordità da rumore sono le costruzioni (20, 5%) e la fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo (11%). Seguono, anche sono molto meno interessati dal fenomeno, la produzione di metalli e loro leghe, la fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi.
Le donne colpite dalla sordità da rumore sono state 22 (solo il 2% delle malattie professionali che complessivamente, nel 2009, sono state 922). I casi sono stati registrati soprattutto nell’industria tessile e nella confezione di articolo di vestiario e nella preparazione e tintura di pellicce.
L’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore) è regolamentata dalla direttiva 2003/10/CE cui si è dato attuazione con il Decreto Legislativo 10 aprile 2006, n. 195.
Citiamo una definizione INAIL. “L’ipoacusia da rumore è una sordità bilaterale causata dalla continua e prolungata esposizione al rumore. Il rumore, agendo su una particolare struttura dell’orecchio interno, detta coclea per la caratteristica forma a chiocciola, può determinare effetti transitori o permanenti a seconda della sua intensità e durata. Infatti, una esposizione di breve durata ad un rumore che superi l’intensità di 70-75 dB (A) (Nota: i dB sono l’unità di misura del rumore ed A sta per Ambiente) provoca un aumento transitorio della soglia uditiva (fatica uditiva) rapidamente reversibile dopo la cessazione dell’esposizione. Se l’esposizione si prolunga o aumenta di intensità, il fenomeno tende a perdere il suo carattere transitorio e diventa permanente.”