ROMA – Prendersi cura di chi ci cura. Presentanto da Anmil il 26 febbraio un rapporto sui rischi per la sicurezza e la qualità del lavoro delle donne nella sanità italiana, rapporto che partendo dai dati Inail, riassume informazioni in merito a infortuni sul lavoro, malattie professionali, differenze di genere nel settore, con l’intento di evidenziare profili di vulnerabilità utili agli stakeholder per future politiche e buone prassi.
Tre le parti nelle quali l’indagine è stata suddivisa: quadro statistico, quadro medico e quadro giuridico, e ad affiancarle un compendio che riporta quattro testimonianze di donne socie Anmil che in diverse qualifiche professionali hanno subito un infortunio o contratto una malattia professionale.
Dati e statistiche
È pari al 70% la presenza femminile nella sanità in Italia, 850 mila le donne su 1,2 milioni di assicurati. 60% la quota rispetto al personale medico e raddoppiati i Dg donna.
Nel quinquennio 2009-2013 il calo degli infortuni nel settore è stato meno significativo rispetto al calo generale. 13,7% la riduzione registrata nella sanità, rispetto al 25% dell’insieme dei comparti lavorativi. 31.900 gli incidenti nel 2013, mentre nel 2009 sono stati 39.000. Di questi infortuni il 55% nel 2013 si sono verificati all’interno di strutture ospedaliere e case di cura, il 28% nelle strutture di assistenza sociale per anziani e disabili.
10.000 infortuni ogni anno colpiscono le infermiere, mansione più a rischio di tutte le altre annoverabili nella sanità, con un terzo dei casi (32%). Quindi le operatrice socio-sanitarie (con il 10% del totale), le ausiliarie ospedaliere (5,3%) e le portantine (4,1%).
La caduta con 5.500 casi è la prima causa di infortunio per le donne, con il 23% del totale, quindi 4mila infortuni da movimenti sotto sforzo fisico, e ben 851 gli infortuni da aggressioni o violenza da parte di estranei. 851 casi su 1200 dell’intero settore, con 1200 che equivalgono a un terzo del totale dei 4mila casi indennizzati da Inail nel 2013 riferiti a tutti i settori lavorativi.
“Dei 23.530 infortuni indennizzati nel 2013 alle operatrici sanitarie la stragrande maggioranza, ben 22.712 pari al 96,6% del totale, si è risolta con esiti di inabilità temporanea al lavoro; la quota di infortuni con esiti permanenti, pari al 3,4% del totale, è notevolmente inferiore a quella media nazionale (8%) e a quella di settori ad “alto rischio” come le Costruzioni (12%)”.
Malattie professionali
Quindi le malattie professionali. Il 90% dei casi ha riguardanto l’apparato muscolo-scheletrico e osteo-articolare e dal 2009 al 2013 tali malattie sono cresciute del 73%, ovvero si è passati da 762 casi nel 2009 a 1.319 nel 2013. “Per le altre malattie professionali si registrano, invece, numeri molto più ridotti (poche decine di casi l’anno) sia per quelle “tradizionali” (Malattie respiratorie, Malattie cutanee, ecc.) che per quelle “emergenti” come i Disturbi psichici e comportamentali, tra i quali vanno segnalati lo “stress lavoro correlato” e il “burnout”, un malessere lavorativo di natura psico-fisica che colpisce in modo particolare proprio gli operatori della sanità”.
Presentati i dati, il rapporto si sofferma sull’analisi del quadro delle tutele, su come la legge prevede di tutelare importanti aspetti della quotidianità delle lavoratrici nella sanità, sia in merito alla salute fisica che alla salute mentale.
Differenze di genere, stress lavoro correlato, burnout, come anticipato in precedenza violenze e aggressioni. Questi gli aspetti segnalati, ricordando che in ogni caso “il datore di lavoro deve partire dalla considerazione del ruolo socio-culturale delle donne e della diversità biologica e fisica esistente tra donne e uomini. Questa operazione deve tener conto di una strategia articolata volta alla integrazione della dimensione di genere nella pianificazione, nell’amministrazione e nelle lavorazioni aziendali, anche attraverso lo sviluppo di buone pratiche”.
Disegno di legge
Nel corso della giornata di illustrazione del rapporto, è stato presentato alla stampa il Disegno di Legge 1769 della senatrice Silvana Amati, che propone “Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, in tema di trattamenti spettanti al coniuge superstite e ai figli dei caduti sul lavoro, nonché integrazioni alla legge 11 marzo 2011, n. 25, in materia di quote obbligatorie e di riserva per l’assunzione di lavoratori”.
Si tratta di una proposta di modifica del Testo Unico . 1124 del 1965 (Testo unico assicurazione obbligatoria infortuni lavoro) e di un’integrazione all’articolo 1 della della legge 11 marzo 2011, n. 25 (assunzioni obbligatorie persone disabili).
Questi in sintesi i provvedimenti proposti: “una modifica all’articolo 77 del Testo Unico, stabilendo che per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato, che abbiano ciascuno reddito proprio da lavoro non superiore ad euro 5.681,02, le quote integrative della rendita INAIL siano corrisposte fino al raggiungimento del ventiseiesimo anno di età ovvero fino al compimento del trentesimo anno qualora essi risultino iscritti in elenchi o liste per il collocamento al lavoro”;
modifica “all’articolo 85 al fine di introdurre lo stesso prolungamento dell’erogazione della rendita INAIL nel caso di figli di caduti sul lavoro”;
“se richieste dai soggetti interessati, l’Inail preveda prestazioni di sostegno psicologico, con l’obiettivo di un completo reinserimento nella vita di relazione e lavorativa”;
“attualizzare il linguaggio utilizzato, introducendo i termini coniuge” e coniuge superstite” al posto di, rispettivamente, vedovo e moglie”;
“integrazione all’articolo 1 della legge 11 marzo 2011, n. 25 l’avviamento al lavoro deve avvenire in modo paritario, fermo restando il divieto di superare il numero di assunzioni previsto, a tutela delle compatibilità finanziarie del bilancio di parte corrente dello Stato”.
Info:
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