URBINO – Pubblicato dall’Osservatorio Olympus di Urbino, il Working Paper n. 19.
Causalità e colpa nella responsabilità penale nei reati di infortunio e malattia professionale, curato da Beniamino Deidda, già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze.
Il saggio, estratto di una relazione presentata in occasione del convegno Le malattie professionali: adempimenti medico-legali e indicazioni operative di prevenzione, svoltosi a Montecassiano il 27 settembre 2012, affronta le problematiche sollevate dell’accertamento del nesso causale e della colpa nella responsabilità penale derivante da infortunio e malattia professionale.
In particolare l’ex procuratore Deidda analizza l’elaborazione giurisprudenziale in merito alle esposizione alle polveri di amianto.
Laddove, come nel caso dell’amianto, i possibili fattori dannosi per la salute non sono ancora compiutamente accertati o non sono sostenuti da evidenze scientifiche univoche e sicure, le sentenze ricoprono un ruolo particolarmente importante e delicato. Le sentenze per malattie e morti correlate a esposizione ad amianto hanno in questo senso un ruolo esemplare.
Ci troviamo infatti in un ambito caratterizzato dalla mancanza di leggi scientifiche sulle quali vi sia unanime consenso. Questa incertezza determina una varietà di esiti giudiziari fondati sulla maggiore o minore sottolineatura di alcuni fattori su cui non c’è accordo nella comunità scientifica.
In questa difficile materia in primo luogo è necessario tenere distinte le problematiche relative alla causalità da quelle relative alla colpa.
Al proposito Deidda propone l’analisi del caso esemplare di un datore di lavoro che espone i suoi lavoratori alle polveri di amianto senza prender alcuna precauzione. “Poniamo che dopo qualche tempo uno di questi lavoratori muoia per un tumore polmonare. In casi come questi non è raro che i magistrati ritengano provato il nesso di causa tra esposizione alle polveri e il tumore mortale che ha colpito il lavoratore. In realtà l’unico dato certo che emerge è che è stata violata la norma cautelare che impone il divieto di diffusione delle polveri nell’ambiente di lavoro. Il comportamento del datore di lavoro è certamente sufficiente per affermarne la colpa, ma non serve a ritenere esistente il nesso causale tra il comportamento e l’evento mortale che deve essere invece adeguatamente dimostrato. Dunque, l’errore che molto spesso si compie consiste nel ritenere automaticamente che l’evento mortale sia conseguenza della violazione della regola cautelare, senza ulteriori accertamenti. In realtà la colpa del datore di lavoro non contribuisce a provare il nesso di causa quando, secondo le leggi scientifiche e le conoscenze epidemiologiche, esso rimane incerto. Nel nostro caso si deve dire che il tumore polmonare è un evento che può essere cagionato da una pluralità di fattori e che si possono ipotizzare decorsi causali alternativi”.
Il giudice illustra quindi uno dei più citati orientamenti giurisprudenziali per la determinazione del nesso di causalità quando siamo di fronte a contrastanti teorie scientifiche e cita la sentenza Franzese la cui novità, secondo l’autore, risiede nell’ “avere ancorato l’accertamento causale al concetto di elevata probabilità logica o credibilità razionale”.
Altra sentenza da citare è la sentenza Quaglierini in cui la Corte ha stabilito “che il giudice di merito, quando si trovi dianzi a leggi scientifiche contraddittorie, deve specificamente motivare le ragioni dell’adozione di una piuttosto che di un’altra legge, spiegando perché abbia deciso di adottarla”.
La Corte ha quindi risolto così il problema sollevato dalla presenza di sue teorie contrastanti sulla contrazione di mesotelioma: quella per cui la continuata esposizione aggrava il rischio e quella per la quale è sufficiente una dose killer con cui il lavoratore è venuto in contato in uno specifico momento della sua vita lavorativa.
“Mi limito a dire” – commenta Deidda nel saggio – “che la motivazione della sentenza pone interrogativi non semplici da risolvere. Primo tra tutti: di quali strumenti dispone il giudice per fare una scelta meditata tra due leggi scientifiche che fossero entrambe degne di credito e autorevolmente sostenute dal prestigio di coloro che le hanno formulate?”.
Terza soluzione possibile per affrontare questi casi, è fare ricorso alle leggi statistiche e alle rilevazioni epidemiologiche che però danno adito a forti critiche sulla loro validità nella ricostruzione del nesso di causalità.
In conclusione la problematica della causalità in questo tipo di procedimenti si concretizza nel fatto che il contrasto nella letteratura scientifica è tale da rendere concreto il rischio che molti magistrati propendano per l’assoluzione degli imputati proprio in ragione della difficoltà di orientarsi tra due tesi contrapposte.
Altri sono i problemi posti dall’imputazione di colpa che, ai sensi dell’art. 43 del codice penale, interviene quando occorre la prevedibilità dell’evento dannoso. Ma anche questo non basta perché “per affermare la responsabilità del soggetto agente è necessario verificare la reale efficacia del comportamento alternativo che la norma cautelare imponeva”.
Argomenta in merito Deidda: “Si può concludere, rispetto alla vicenda dell’amianto, che per quanto riguarda la prevedibilità dell’evento la giurisprudenza ha riconosciuto che i datori di lavoro, per le conoscenze del tempo, dovessero avere consapevolezza della pericolosità dell’amianto per le vie respiratorie, anche senza conoscere con precisione il meccanismo causale della produzione dell’evento dannoso. “Non occorre per ritenere integrata la colpa – ha affermato la Cassazione – la rappresentazione dell’evento morte, ma è sufficiente che l’agente fosse in condizioni di prefigurare un danno grave alla salute o alla vita”.
E conclude: “Sappiamo bene che non è facile nei processi per le morti da amianto accertare tutti gli elementi necessari per affermare la responsabilità penale. Ma, fino a che i parametri della colpa e della causalità continuano a governare il nostro processo penale, è necessario acquisire un grado di certezza e probabilità razionale tale da giustificare la pronunzia di responsabilità. Senza fughe laterali, come quelle che imputano la vera responsabilità delle morti da amianto al ritardo del legislatore statale nel disciplinare la materia dell’amianto o all’inerzia delle istituzioni. Può darsi che vi siano stati ritardi o qualche lentezza. Comunque se lentezza vi è stata, essa non può costituire un alibi per coloro che ricoprivano posizioni di garanzia della salute dei lavoratori ed erano tenuti ad osservare le norme cautelari. La mia conclusione è che il processo penale non può venir meno al suo compito essenziale che è quello di accertare i fatti e di affermare la responsabilità penale tutte le volte che i parametri della causalità e della colpa consentano di raggiungere conclusioni certe e razionali.”
Per approfondire: saggio Deidda WP Olympus 19 (PDF).
Leggi anche: I Working Papers Olympus n. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18 Controllo collettivo e modelli organizzativi (PDF).