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Durata del rapporto di lavoro e rischio infortunistico

TORINO – Condotta dal servizio di epidemiologia dell’ASL TO3 una ricerca sulla relazione tra durata del rapporto di lavoro e rischio infortunistico.
In un periodo di crisi in cui il mercato del lavoro è connotato da fortissima flessibilità, mobilità e precarietà, la durata del rapporto di lavoro è spesso molto bassa. Che impatto ha questo fenomeno sulla salute e sicurezza dei lavoratori?
Quotidiano Sicurezza, organo dell’ANFOS (Associazione Nazionale Formatori per la Sicurezza nei luoghi di Lavoro), ha posto alcune domande ad Antonella Bena e Massimiliano Giraudo, responsabili della ricerca,  per approfondire il tema.

Come è nata l’idea di condurre questa ricerca?
«Molti studi segnalano che iniziare un nuovo lavoro si accompagna ad un aumento nel rischio infortunistico. Le principali cause sono legate alla scarsa esperienza, fortemente correlata all’età. Anche la formazione gioca un ruolo importante e dipende dalla rischiosità e dalla complessità della mansione svolta. Questi aspetti sono da tenere in considerazione dato che negli ultimi decenni sta notevolmente aumentando la precarietà del lavoro in tutti i settori, con conseguente frammentazione delle carriere. Non sono solo più i giovani ad iniziare lavori nuovi. È dunque necessario capire qual è l’impatto sulla salute (ed in particolare sugli infortuni) in Italia per poter attivare azioni di prevenzione efficaci o proporre modifiche normative. Anche se è urgente e necessario, non è tuttavia facile studiare questi fenomeni perché cambiano nel tempo anche molto rapidamente. È necessario avere a disposizione informazioni longitudinali in modo da capire bene qual è la causa e qual è l’effetto. Noi stiamo costruendo, per conto del Ministero della Salute, un sistema longitudinale di sorveglianza della salute dei lavoratori italiani, in collaborazione con l’Inps, l’Inail e l’Istat. Abbiamo quindi a disposizione informazioni utili per capire se iniziare un nuovo lavoro in Italia ha effetti sul rischio infortunistico. Possiamo anche capire se in realtà sono altri i fattori responsabili, come per esempio la giovane età o la scarsa esperienza, per forza presenti tra chi comincia a lavorare».

Come si è svolta?
«Abbiamo studiato un campione di lavoratori dipendenti del settore privato estratti dagli archivi amministrativi dell’Inps. Per tutti abbiamo ricostruito la carriera lavorativa ed abbiamo ricercato, con procedure di linkage deterministico, gli infortuni che li hanno coinvolti. Abbiamo studiato il periodo tra il 1998 ed il 2003 perché ci interessava approfondire gli effetti del cosiddetto pacchetto Treu (legge 196/97) che ha introdotto nuove forme di lavoro atipico. Abbiamo studiato il rischio infortunistico per diverse durate di rapporto di lavoro approfondendo le relazioni con l’età e con l’esperienza accumulata nei 5 anni precedenti nella stessa attività economica».

Che risultati ha portato?
«Le analisi indicano che iniziare un nuovo lavoro è un potenziale fattore di rischio infortunistico. Nei primi 6 mesi di lavoro il rischio è più alto del 50% rispetto a quello di un individuo che lavora nella stessa azienda da più di 3 anni. Il trend è lineare: in pratica all’aumentare della durata del rapporto di lavoro diminuisce progressivamente il rischio. Questo è vero a qualunque età (non solo nei giovani che hanno meno esperienza e, generalmente, meno formazione) e in qualunque attività economica. L’esperienza specifica accumulata dai lavoratori negli anni precedenti in altre aziende non migliora la situazione anche a parità di attività economica. Pensiamo che questi risultati siano da tenere in attenta considerazione visto che il mercato del lavoro è sempre più caratterizzato da carriere lavorative frammentate. Temiamo che, se la quota di contratti di lavoro a termine continuerà ad aumentare, si possa tradurre in un aumento dell’andamento infortunistico nei prossimi anni. Attualmente stiamo lavorando per precisare ancora meglio le nostre conclusioni. Ci stiamo chiedendo per esempio se lo stesso fenomeno si realizza anche quando l’esperienza precedente è accumulata nella stessa azienda. È questo il caso di tutti quei lavoratori con contratti a termine che in realtà continuano a lavorare per la stessa azienda con rinnovi a volte anche molto ravvicinati. Vogliamo anche verificare cosa succede tra i lavoratori autonomi, visibilmente in aumento negli ultimi anni soprattutto in alcune attività economiche ad alto rischio infortunistico come le costruzioni, i trasporti e l’agricoltura. La crisi globale ha infatti determinato in molti settori uno “smottamento di lavoratori tipici” verso forme atipiche/autonome di impiego. Infine vogliamo studiare il fenomeno anche nelle lavoratrici, fino ad ora non considerate dalle nostre analisi.»

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema trova i materiali sintetici della ricerca nell’area focus infortuni sul lavoro del Centro di Documentazione Regionale sulla Salute della Regione Piemonte (http://www.dors.it/pag.php?idcm=3404 )

A partire dallo stesso sistema di sorveglianza è stato preparato un intervento al convegno EUROEPI2010 svoltosi a Firenze lo scorso 6-9 novembre 2010 dal titolo “The impact of flexibilization on workplace safety. The case of young Italian workers” a cura di R. Leombruni, A. Bena, M. Giraudo. Le slide dell’intevento sono scaricabili al link http://www.epidemiologia.it/materiali/euroepi2010/08-11-2010/SALA-ONICE/11.00-13.00/93Leombruni-R.ppt.pdf

Una descrizione generale del sistema longitudinale di sorveglianza della salute dei lavoratori italiani che è stato usato per le analisi si trova al seguente link: http://www.laboratoriorevelli.it/_pdf/wp86.pdf

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