ROMA – Pubblicato nel Volume 2, n. 2 di Prevention & Research, l’articolo “Profili professionali in ambito sanitario e fattori associabili allo sviluppo di burnout”, risultati di uno studio condotto da ricercatori del Complesso socio-sanitario e Ospedaliero “Villa Immacolata” di San Martino al Cimino (VT), del Dipartimento di neurologia e Psichiatria, “La Sapienza” Università di Roma e il Citizen Advice Bureau di Manchester (UK).
Obiettivo dell’indagine, valutare la presenza di burnout e delle sue relazioni con fattori ambientali ed organizzativi tra gli operatori sanitari di medicina riabilitativa, e identificare eventuali profili professionali più esposti alla sindrome all’interno dell’organizzazione.
Il burnout è una sindrome patologica che colpisce in modo particolare chi lavora nelle professioni di aiuto ed è il risultato del sommarsi di fattori di stress emotivo ed organizzativo che determinano l’esaurimento del lavoratore.
Il perdurare di intensi fattori di stress, organizzativo, cognitivo e soprattutto emotivo determina in questi lavoratori la sensazione di essere sopraffatti e di perdere il controllo della situazione. La sindrome di burnout si concretizza quindi con disagio cognitivo, confusione, ma soprattutto con una alterazione della reazione emotiva. Come meccanismo di difesa da emozioni soverchianti, chi soffre di burnout sviluppa quindi atteggiamenti di indifferenza e cinismo verso i bisogni altrui uniti a un senso di inadeguatezza, di mancanza di stima di sé e di incapacità di agire.
Tutto questo ha gravi ripercussioni sia sullo stato di salute psico-fisica del lavoratore che sull’organizzazione lavorativa.
Per analizzare il fenomeno è stata condotta un’indagine in una casa che svolge attività riabilitativa di soggetti con menomazioni fisiche, psichiche e cognitive. Lo studio è stato realizzato somministrando a 114 operatori sanitari una serie di questionari per testare una eventuale relazione significativa tra le variabili di personalità, le variabili relative all’organizzazione lavorativa ed eventuale livello di burnout.
Il campione è stato suddiviso in 3 gruppi di 38 unità ciascuno, rispettivamente composti da fisioterapisti, infermieri e ausiliari.Rappresentato da 49 maschi e 65 femmine, con un’età media di 37,8 anni.
Sono 5 in tutto, il 4% del campione, tre fisioterapisti e due infermieri, i soggetti che sono risultati in burnout elevato. Altri 13 soggetti (5 fisioterapisti, 6 infermieri e 2 ausiliari, il 15% del campioni) presentano livelli medi e cioè non sono in situazione patologica ma hanno alte possibilità di sviluppare la sindrome.
Dato rilevante che distingue i soggetti in sindrome di burnout è il maggior livello di depersonalizzazione riscontrato tra i fisioterapisti. Questi dimostrano un maggior grado di cinismo e distacco dal lavoro e dai pazienti. Possibile causa di questa disaffezione è proprio nella maggiore contatto che si instaura tra fisioterapisti e pazienti, in modo continuativo per almeno un’ora al giorno, e nella pesantezza di un rapporto a due contraddistinto dal fatto che il fisioterapista a volte debba trattare pazienti con sintomatologie dolorose che si oppongono al trattamento.
Riguardo gli obiettivi generali della ricerca i dati confermano che il burnout è una sindrome multifattoriale: sono diverse le variabili che possano essere associate al suo sviluppo.
Le variabili relative all’organizzazione del lavoro giocano un ruolo e tra queste un ruolo importante lo ha la percezione negativa della dirigenza mentre non sembra avere molta importanza la percezione di mancata equità organizzativa. Analizzando i fattori legati alla personalità, i soggetti che hanno manifestato gradi più elevati hanno mostrato una particolare preoccupazione (al limite dell’ipocondria) circa il proprio benessere psicofisico e sono sembrati avere difficoltà familiari.
La ricerca fornisce ai lettori un quadro orientativo che indica alcune direzioni per prevenire l’insorgere della sindrome di burnout facendo sviluppare ai professionisti dell’aiuto quelle capacità necessarie ad affrontare situazioni lavorative connotate da alti livelli di stress organizzativo, cognitivo e relazionale. Una strategia di prevenzione incentrata su quattro aree che spaziano dall’empowerment del lavoratore al miglioramento dell’organizzazione:
- “Sviluppo dello staff: incoraggiare gli operatori ad adottare nuovi obiettivi che possano fornire fonti alternative di gratificazione; aiutare gli operatori a sviluppare ed utilizzare meccanismi di controllo e di feed-back sensibili ai vantaggi a breve termine, per migliorare la percezione di confort all’interno dell’ambiente di lavoro; fornire consulenza centrata sul lavoro o incontri per lo staff che sta sperimentando livelli elevati di stress nel periodo lavoro;
- cambiamenti di lavoro e delle strutture di ruolo: limitare il numero dei pazienti di cui lo staff è responsabile in un determinato periodo; distribuire tra i membri dello staff i compiti più difficili e meno gratificanti ed esigere dallo staff che lavori in più di un ruolo e programma; pianificare ogni giorno in modo che le attività gratificanti e quelle non gratificanti siano alternate; dare ad ogni membro dello staff la possibilità di creare nuovi programmi;
- sviluppo di gestione: creare programmi di training e di sviluppo per il personale attuale e futuro che si dedica alla supervisione, accentuando quegli aspetti del ruolo che gli amministratori hanno più difficoltà ad affrontare; creare sistemi di controllo per i supervisori, tipo indagini tra lo staff, e fornire al personale della supervisione un feedback regolare sulle loro prestazioni;
- soluzione del problema decisionale organizzativo e momento decisionale: creare meccanismi formali di gruppo per la soluzione del problema organizzativo e la risoluzione del conflitto; organizzare training per la risoluzione del conflitto e la soluzione dei problemi di gruppo per tutto lo staff.”
Info: Profili professionali in ambito sanitario e fattori associabili allo sviluppo di burnout.