PARIGI – Laurent Vogel commenta i dati del recente rapporto Eurostat sulle condizioni di lavoro in Europa. Vogel è a capo Dipartimento di Salute e Sicurezza dell’ETUI, European Trade Union Institute, associazione sindacale no-profit internazionale, supportata dalla Comunità europea, nata con tre obiettivi :
- condurre ricerche e studi e monitorare temi di vitale importanza per il mondo del lavoro in Europa con l’obiettivo di costruire ponti tra la ricerca accademica e i movimenti dei lavoratori;
- promuovere attività di formazione e educazione e scambio per rafforzare l’identità dell’associazione;
- fornire supporto tecnico in materia di salute, sicurezza e protezione sui luoghi di lavoro con la finalità di garantire a i lavoratori europei alti standard di benessere lavorativo e ambienti di lavoro sani e sicuri.
Vogel si sofferma su una questione particolarmente calda per le associazioni sindacali: l’età pensionabile.
Quali sono le condizioni di lavoro per la popolazione attiva in Europa?
Salute e sicurezza sono sufficientemente tutelate in modo da permettere una sana e lunga vita lavorativa?
I lavoratori, mantenendo queste condizioni, possono continuare a lavorare fino al compimento dei sessanta anni di età? La risposta è no, non sempre, per molti motivi.
In assoluto meno del 60% dei lavoratori ritiene di poter continuare a fare il lavoro che svolge fino a 60 anni. Un terzo dei lavoratori interpellati dichiara di ritenere che la sua salute e la sua sicurezza sono a rischio sui luoghi di lavoro.
Nonostante questo è in aumento il fenomeno del presenzialismo: andare al lavoro sempre e comunque, anche quando si è malati. La precarietà della vita lavorativa, pressioni datoriali e sociali, sono spesso causa di questo fenomeno che alla lunga può risultare molto dannoso, sia alla salute del lavoratore che all’azienda stessa.
La situazione peggiora quando si interpellano operai a bassa specializzazione: meno del 44% di questi risponde affermativamente all’ipotesi di poter lavorare fino ai 60 anni: la maggior parte ritiene di non potercela fare.
Non stupisce che le prospettive appaiono migliori per i coletti bianchi che per gli operai.
Altro aspetto spesso sottovalutato è poi l’impatto a lungo termine del lavoro sulla salute, a volte più preoccupante degli effetti immediati. Categoria in cui questo fenomeno emerge sono le donne che sono generalmente meno esposte a rischi diretti ma che nell’arco di tutta la loro vita lavorativa si misurano con difficoltà organizzative, di conciliazione con la vita familiare, di prospettiva di carriera, di difficoltà nei rapporti sociali sul lavoro, che determinano una costante situazione di disagio che può facilmente sfociare in sindromi da stress lavoro correlato.
Concludendo quindi Vogel sottolinea come nei dibattiti e nei tavoli negoziali sull’età pensionabile molti aspetti vengano spesso ignorati.
La vita lavorativa è diversa a seconda di quale gradino occupazionale il lavoratore occupi: per chi è nei gradini più bassi l’accumulo di cattive condizioni di lavoro determina spesso una impossibilità fisica a continuare a lavorare. Le attuali condizioni di lavoro cui è sottoposto un operaio edili, un addetto alle pulizie, o un operatore di call canter sono tali per cui è davvero problematico per questi poter mantenere il posto di lavoro oltre i 50/55 anni di età.
Se non si adopereranno le dovute precauzioni per migliorare le condizioni di lavoro delle fasce più basse l’innalzamento dell’età pensionabile metterà questi lavoratori nelle condizioni di licenziarsi e di vedere ridotte ulteriormente le loro pensioni che sono già ai livelli più bassi.