servizio di Enzo Di Frenna e Francesca Tarissi –
ROMA – Ci siamo. Scatta l’obbligo per migliaia di aziende italiane di preparare un documento per la valutazione del rischio stress, come impone il Testo Unico 81 del 2008. L’obiettivo è ridurre la possibilità che lo stress lavorativo diventi malattia professionale, incidendo sulla salute di lavoratori e manager. Ma quante sono le aziende che si sono messe in regola? Quotidiano Sicurezza ha sentito alcune tra le grandi aziende dell’information technology, come Microsoft, Telecom Italia, HP, IBM, Vodafone Italia o Symantec, dove più alto è il “rischio stress lavoro correlato”.
Ad oggi in Italia il comparto Ict conta circa 1,3 milioni di lavoratori dipendenti, impegnati ogni giorno in mansioni che li costringono ad utilizzare per molte ore il computer e internet, e sottoposti al bombardamento di centinaia di informazioni digitali, con ritmi di lavoro spesso incalzanti, che li espongono anche al rischio “tecno stress”, la nuova malattia professionale balzata agli onori della cronaca in seguito all’impegno del giudice Raffaele Guariniello della procura di Torino. Le conseguenze sulla salute sono concrete: insonnia, ipertensione, disturbi gastrointestinali, problemi cardiaci, ansia, mal di testa, depressione, deficit immunitari.
A poche ore dalla scadenza imposta dal T.U. 81/2008 abbiamo quindi voluto valutare la situazione: dal quadro emerso dalla nostra breve indagine, risulta che, a parte alcuni casi virtuosi, il rischio stress è una patata bollente per le aziende. Alcune si sono già organizzate, altre fanno fatica a capire come muoversi. Anche perché la valutazione dello stress in azienda non è facile. Lo conferma Lorenzo Fantini, dirigente del Ministero del Lavoro (area salute e sicurezza) e presidente della Commissione Consultiva che ha redatto le linee guida per la valutazione del rischio stress: «Riceviamo molte richieste di chiarimento da parte delle aziende e riguardano la metodologia da seguire per la valutazione dello stress lavoro correlato – spiega – nelle linee guida emanate dalla Commissione Consultiva si specifica che dal 31 dicembre 2010 le aziende devono iniziare un percorso per la valutazione di tale rischio, indicando i tempi di conclusione. Quindi una grande azienda con migliaia di lavoratori avrà la necessità di identificare i gruppi di lavoro e potrà concludere tale percorso anche dopo sei mesi». Come dire: avete ancora tempo, ma dovete dimostrare che qualcuno si sta occupando del problema in azienda. Il problema reale, però, è che le linee guida dovevano uscire a giugno 2010, quando la scadenza per tale valutazione era prevista al 31 agosto, come indicato il Testo Unico 81. Ma poi le aziende hanno lamentato la scarsa conoscenza del problema e dei metodi da seguire, così è arrivato il primo slittamento al 31 dicembre per il settore pubblico, a cui è poi seguito il privato.
Ma ora non ci sono più rinvii: dal 1 gennaio 2011 le aziende italiane, piccole e grandi, devono valutare il rischio stress all’interno della propria organizzazione lavorativa, per evitare che, in seguito a ispezioni, debbano pagare multe salate e – teoricamente come indica la norma – anche il rischio carcere. Questo perché l’omissione di un rischio all’interno di un’impresa moderna significa aver chiuso gli occhi rispetto al fatto che un lavoratore può ammalarsi di stress, con gravi conseguenze sulla salute e serie ripercussioni sulla sfera effettiva e familiare.
Secondo un’indagine della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di lavoro e i risultati sono stati segnalati dal nostro Ministero del Lavoro, ben il 25% dei lavoratori europei ammette di soffrire di stress. L’Organizzazione mondiale della Sanità prevede che entro il 2020 la depressione – spesso associata a uno stile di vita stressante – sarà la principale causa di assenza sul lavoro.
Il problema dunque è concreto e rischia di coinvolgere sempre più lavoratori che saranno affetti da nuove forme di invalidità. Una tesi sui cui concorda il direttore generale dell’Inail, Giuseppe Lucibello: «Ho maturato la convinzione che tra qualche anno si discuterà più di malattie professionali che di infortuni. Le tecnopatie e lo stress da lavoro correlato sono fenomeni in aumento. L’Inail si è già mossa in termini di studio e ricerca, ma bisogna selezionare nuovi partner per l’applicazione corretta del rischio stress previsti dalla nuova normativa.».
Le indicazioni metodologiche ufficiali sono disponibili solo da poche settimane sul sito del Ministero del Lavoro. In precedenza, chi ha già provveduto, si è rifatto alle linee guida emanate da alcune regioni. Nelle 121 righe del documento emanato il 18 novembre dalla Commissione Consultiva si forniscono le “definizioni e indicazioni generali” per valutare lo stress lavoro correlato, indicando che la responsabilità ricade sui datori di lavoro e coinvolge gli RSPP (Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione, gli RLS (Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) e i medici competenti.
La valutazione si articola in due fasi: valutazione preliminare e intervento correttivo.
Definiti gli indicatori di rischio, si procede all’utilizzo di liste di controllo (check list) e infine alla redazione di un DVR (Documento Valutazione Rischio) previsto dal Testo Unico 81.
Se il problema sussiste in modo marcato, allora si procede alla pianificazione di un intervento correttivo dopo aver effettuato interviste ai lavoratori e dei focus group.
Alla riga 100 del documento del ministero si chiarisce la questione della scadenza effettiva: «La data del 31 dicembre 2010 – si legge – di decorrenza dell’obbligo previsto dall’articolo 28, comma 1 bis, del d.lgs n° 81/2008, deve essere intesa come data di avvio delle attività di valutazione ai sensi delle presenti indicazioni metodologiche».
Le aziende, comunque, stentano ancora a individuare il modo migliore per procedere. E in alcuni casi lamentano una scarsa informazione. Lo conferma Michele Ficara Manganelli, presidente di Assodigitale, associazione che raggruppa 50 aziende del settore: «Si è fatta poca pubblicità ed informazione in merito al nuovo obbligo di valutare lo stress lavorativo. Le imprese che si occupano di digitale sono costrette ad occuparsi del problema in tempi stretti e con una certa difficoltà». E aggiunge: «Stress e tecnostress rappresentano certamente un rischio per chi gestisce ogni giorno una grande quantità di informazioni: computer, internet, smartphone e dispositivi multimediali, e ritengo giusto che le aziende si attrezzino per valutare un rischio psicosociale, che ha effetti sul lavoro ed anche nella vita personale. Ma ripeto: il problema è che si è fatta poca informazione.»
«I lavoratori delle telecomunicazioni ci segnalano che lo stress e il tecnostress sta diventando un problema molto diffuso, soprattutto nel settore dell’Information Technology», spiega Stefano Conti, segretario nazionale di Ugl Telecomunicazioni, «ci sono lavoratori che trascorrono anche 12-13 ore al giorno al computer, esponendosi al nuovo rischio di contrarre una malattia professionale. In Italia ci sono 130mila lavoratori che operano in aziende che fanno capo ad AssoTelecomunicazioni, ma ci sono altre migliaia di imprese che non sono monitorate e quindi il rischio stress coinvolge un altissimo numero di lavoratori».
Secondo Conti, lo stress lavorativo è un grave problema sociale, poiché non colpisce solo la salute del lavoratore, ma a cascata finisce per avere un impatto negativo anche sulle relazioni familiari e interpersonali del soggetto affetto dalla tecnopatia.
Quotidiano Sicurezza ha sentito prima di tutto le grandi aziende del settore ICT, ma il problema stress colpisce naturalmente anche altri settori. In Rai, ad esempio, ci hanno spiegato che sono state prese diverse misure di prevenzione per affrontare i ritmi di lavoro frenetici e stressanti, tipici del settore radiotelevisivo. Ma nonostante ciò, alcune settimane fa la presentatrice Antonella Clerici è svenuta in diretta televisiva, spiegando poi che il malore era dovuto allo stress. Quindi la problematica tocca, in definitiva, molti settori. Ma torniamo al settore ICT. Spiega Gianluigi Ferri, amministratore delegato di Wireless, società leader in Italia nel settore degli eventi broadband: «Il settore ICT italiano ha perso il 7 per cento del mercato negli ultimi due anni, anche a causa dell’attuale crisi economica. In questo momento la valutazione dello stress non è tra le priorità della loro agenda, ma certamente il problema va affrontato con serietà e il nuovo obbligo del Testo Unico 81 va certamente in questa direzione. Nel nostro settore, dove le informazioni e i computer regnano sovrani, il problema principale è il tecnostress».
LA PAROLA ALLE AZIENDE INTERPELLATE
Per condurre la nostra inchiesta e tastare rapidamente il polso alla situazione, abbiamo rivolto sei domande a un ristretto campione, composto da 12 grandi e importanti aziende tecnologiche. Lo studio ha ovviamente un valore indicativo e serve più che altro a fotografare solo una fase di una situazione in divenire, che continueremo a seguire e documentare nei suoi sviluppi anche nel prossimo futuro.
Delle 12 aziende interpellate 5 hanno deciso di non rispondere, adducendo scuse di varia natura o anche ammettendo di non avere ancora una posizione in merito: dunque di non essere in grado di rispondere ai nostri quesiti. Da notare come, quasi subito, più del 40 per cento degli interpellati dimostra di non essere pronta a fornire spiegazioni in merito all’applicazione del T.U. 81 all’interno della propria azienda.
Alla prima domanda “In che modo la vostra azienda si è adoperata per redigere il Documento Valutazione Rischio Stress lavoro correlato?”, delle 7 aziende rimanenti, 5 hanno dichiarato di essersi mosse tempestivamente e in linea con il rispetto della normativa, affrontando la valutazione dello stress lavoro correlato come specifica sezione della più generale valutazione dei rischi del Documento di Valutazione dei Rischi.
Solo 2 aziende hanno dichiarato di essersi impegnate a prevenire lo stress dei dipendenti sul posto di lavoro con grande anticipo e indipendentemente dalla normativa, adottando iniziative finalizzate ad aiutare il personale a gestire il proprio stress, i manager a creare un ambiente di lavoro nel quale la generazione di stress sia minima e, in un caso, attivandosi già dal 2007 per effettuare una valutazione del rischio sul benessere organizzativo specificamente sull’area dei call center, indicata da molti studi come una delle aree più esposte. Lo studio, condotto con la consultazione delle rappresentanze sindacali, è stato completato alla fine dell’estate del 2008 e poi inserito nel Documento di Valutazione dei rischi aziendale.
Alla seconda domanda su quale metodologia fosse stata adottata da parte dell’azienda, 5 aziende del nostro campione hanno risposto di aver adottato gli strumenti di monitoraggio definiti dall’Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (ex ISPESL), ossia con tecniche di osservazione diretta che prevedono report, job analisys e check list.
Un’azienda ha riferito di una mappatura del personale e di una griglia di valutazione con l’elenco delle diverse tipologia di stress e rischio da confrontare e verificare con il personale. L’ultima azienda, invece, la stessa che ha condotto uno studio sulle condizioni di benessere del proprio call center, ha invece condotto un’indagine interna su un campione rappresentativo della popolazione dello stesso call center, utilizzando gli strumenti di rilevazione – intervista e questionario – scaturiti dai risultati dello studio pilota.
Più nette le risposte alla terza domanda: per la valutazione dello stress lavoro correlato le aziende hanno utilizzato risorse umane interne o si sono affidate ad un consulente esterno? Quattro aziende si sono affidate a gruppi di lavoro interni e ai responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione. Tre aziende si sono invece rivolte a esperti e tecnici esterni. Due le motivazioni principali addotte per questa scelta: la volontà di avere un parere obiettivo; la volontà di affidarsi a personale altamente qualificato , in grado di tenere l’azienda perfettamente in linea con la normativa. Insomma di non correre rischi.
Tutti d’accordo per quanto riguarda la conoscenza delle sanzioni a carico delle aziende che non ottemperano al Testo Unico 81/2008: i sette i componenti del nostro campione sono consapevoli che le eventuali sanzioni del D.Lgs 81/2008 sono state rimodulate e inasprite anche in senso penale, rispetto a quelle del precedente D.Lgs 626/94, con un incremento degli importi ed intensificazione delle responsabilità in capo a dirigenti e preposti.
La quinta domanda era rivolta a capire il livello di conoscenza e l’idea che le aziende, o i loro responsabili SPP, hanno dello stress e del tecno stress. E dunque molto semplicemente abbiamo chiesto loro: conoscete i sintomi di stress e tecnostress? Quali ritenete essere i più pericolosi?
Mediamente tutte le aziende che compongono il nostro campione hanno mostrato di conoscere ciò di cui si stava parlando. La tendenza generale è tenere ben separati lo stress dal tecnostress e a non identificare lo stress con l’uso del computer, di internet e delle nuove tecnologie. Semmai sono le tensioni provenienti dall’esterno – maggior bisogno di flessibilità, frequente ricorso ai contratti a tempo determinato, carichi di lavoro sempre più intensi e a scapito della vita privata – a costituire una minaccia per lo stato psico-fisico del lavoratore. Più in generale, gli intervistati tendono a individuare lo stress in “una situazione di prolungata tensione”, che può ridurre l’efficienza sul lavoro e arrivare a determinare un cattivo stato di salute , puntando alle azioni migliorative della salute del lavoratore, a prescindere dalle definizioni e differenziazioni delle patologie o tecno patologie.
In un solo caso il tecnostress è stato associato al rischio d’impresa, poiché agisce sul livello di efficacia produttiva dell’individuo. Come a dire: se il lavoratore è stressato, perde concentrazione, lavora peggio, produce meno.
Nella sesta ed ultima domanda abbiamo deciso di lasciare la parola alle aziende, libere di esprimere il proprio parere sul grado di applicabilità del T.U. 81/2008. Abbiamo quindi chiesto loro: «Giudicate esaustivo e di facile applicazione il TU 81/2008, relativamente al tema dello stress lavoro correlato?». Le risposte variano a seconda della complessità della realtà aziendale. Pur nell’apprezzamento generale del contenuto del TU, quanto si legge tra le righe è però una non facile ricezione e comprensione delle misure da adottare per la sua attuazione e una forte aspettativa di miglioramento della norma.
«La materia è delicata», spiega Massimo Margiotta, direttore amministrazione, finanza & controllo e responsabile sistemi informativi di Nital (50 dipendenti, ndr), «pertanto è comprensibile che non sia compito facile per un Legislatore trattare e codificare in modo schematico ed inequivocabile una simile questione».
Antonella Zolla, responsabile Servizi Prevenzione, Protezione e Ambiente di Telecom Italia, colosso delle Telecomunicazioni che vanta circa 60mila dipendenti in Italia, giudica positivamente il T.U. 81, in quanto lascia spazio all’azienda per focalizzarsi sulle sue specifiche criticità: «Il Testo Unico», spiega Zolla, «pur indirizzando i datori di lavoro su specifiche tematiche di contenuto e contesto del lavoro, lasciano margine sufficiente per rendere il percorso metodologico di valutazione più aderente possibile alla realtà organizzativa. Tema centrale in Telecom Italia rimane l’ampio perimetro organizzativo e l’alta variabilità delle mansioni svolte. Pertanto per tale circostanza la valutazione potrebbe in futuro focalizzarsi su specifiche realtà “sensibili” al rischio in questione».
Vicino a questo pensiero anche Silvio Bertone, Responsabile Servizio di Prevenzione e Protezione del Gruppo HP Italia (5000 dipendenti, ndr): «La delicata problematica dello stress lavoro correlato non è una novità degli ultimi anni. Complessivamente l’impronta del D.Lgs 81/2008 riflette l’impostazione europea in tema di salute e sicurezza sul lavoro: linee essenziali di indirizzo-vincolo e ampia possibilità-dovere di improntare il processo di valutazione e gestione del rischio lasciata alle singole realtà produttive. Certamente un valido supporto applicativo è giunto poi dalla tempestiva predisposizione e divulgazione di un documento dedicato da parte del Coordinamento Tecnico delle Regioni, che si affianca ed inquadra la problematica nel panorama nazionale evitando troppe frammentazioni regionali».
Leggermente più critica Microsoft (830 dipendenti, ndr)che valuta il T.U. utile per tutelare la salute e la sicurezza delle risorse umane aziendali ma complesso nel suo insieme. Fa eco Patrizia Soro, Manager, EMEA HR Direct di Symantec, che afferma: «L’attuale normativa è esaustiva in parte, in quanto non risultano ancora chiare e complete le metodologie di valutazione e le relative misure di attuazione da applicarsi».
«Il T.U. ha introdotto l’obbligo di valutazione del rischio stress lavoro correlato senza fornire metodologie di valutazione a cui fare riferimento», interviene Stefano Bargellini, direttore Safety, Securitye Facilities di Vodafone Italia: «Ciò ha dato spazio alla proliferazione di indicazioni regionalistiche anche molto differenti tra loro, mettendo aziende di grosse dimensioni come VF, che operano su tutto il territorio italiano, in oggettiva difficoltà nel garantire un approccio uniforme della valutazione per la propria popolazione lavorativa. Questa difficoltà è stata superata grazie all’approvazione delle linee guida da parte della Commissione Consultiva Permanente».
«Il susseguirsi di Linee guida e circolari esplicative, i contributi di diversi organismi, inclusa la Commissione Consultiva Permanente>>, spiega a Quotidiano Sicurezza , Angelo Meregalli, Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione, IBM Italia (8000 dipendenti, ndr), «a livello di proposte, senza arrivare alla formalizzazione di conclusioni ampiamente condivise ed i rinvii della data di decorrenza, testimoniano la difficoltà nell’identificare una modalità univoca per l’applicazione di quanto richiesto dal DLgs 81/2008. La formulazione concettuale dell’art. 28 sullo stress lavoro correlato non ha trovato poi riscontro in metodologie di immediata applicazione».
«Probabilmente saranno necessari miglioramenti futuri della norma», conclude Margiotta: «Tuttavia il fatto che si sia trattato questo delicato aspetto della vita lavorativa è già un passo avanti».
ALCUNI CONSIGLI
«La nuova sfida per le aziende di valutare il rischio stress deve essere affrontata tenendo conto delle dimensioni dell’azienda, utilizzando le metodologie attualmente proposte dalle istituzioni, come regioni, ex Ispesl e Ministero del Lavoro», spiega Rolando Morelli, presidente dell’Associazione Nazionale Formatori Sicurezza del Lavoro (Anfos) – «Quanto alle piccole aziende che non hanno la capacità di procedere internamente alla stesura del DVR Stress, Morelli consiglia di richiedere il documento sul loro sito compilando una specifica check list. «Esiste anche la possibilità di affidarsi a check list», suggerisce ancora, «che si rifanno alle precedenti linee guida regionali, semplificando quindi il compito del piccolo datore di lavoro».
NorthgateArinso (NGA), società attiva nell’ambito della consulenza strategica e dei servizi di Human Resource, traccia alcune linee guida per lo sviluppo di una policy aziendale, in grado di utilizzare l’ufficio Risorse Umane come valido supporto nella gestione dello stress lavoro-correlato e la tutela del benessere dei dipendenti.
«Se davvero, come spesso si dice, le risorse umane sono l’asset più importante delle aziende», spiega Cristiana Rossi, HR Manager di NGA Italia, «diventa fondamentale garantire un alto livello di benessere organizzativo che permetta loro di essere motivate, fidelizzate e soddisfatte del ruolo che rappresentano in azienda».
Secondo NGA l’azienda dovrebbe:
– impegnarsi a monitorare costantemente i livelli di stress tra il personale;
– identificare i fattori di stress presenti al proprio interno;
– eseguire una valutazione periodica degli “stressor”;
– garantire l’implementazione di un sistema in grado di analizzare, valutare e rispondere agli eventuali fattori di rischio;
– garantire interventi ad hoc (es. azioni formative, focus group ecc.) finalizzati a diminuire costantemente i livelli di stress;
– porsi in ascolto di eventuali richieste di aiuto.